19 marzo 2019
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Biografia di Harvey Weinstein
Harvey Weinstein, nato a New York il 19 marzo 1952 (67 anni). Ex produttore cinematografico. Cofondatore, insieme al fratello Bob (classe 1954), della Miramax (1979) e della The Weinstein Company (2005). «Sono nato povero, brutto, ebreo, e ho dovuto combattere per tutta la vita per arrivare da qualche parte. Nessuna ragazza mi ha guardato fino a quando non sono diventato un grande di Hollywood» (a Tali Theodoracopoulos) • «A partire dalla sua prima vittoria nel 1990 con Il mio piede sinistro, i film prodotti e distribuiti dalla Weinstein Company hanno raccolto 341 nominations e 81 statuette. Tra i titoli: Pulp Fiction, Mediterraneo, Il paziente inglese, Shakespeare in Love, Chicago, L’aviatore, The Artist, per finire con Ennio Morricone e la colonna sonora di The Hateful Eight. Una presenza dominante, quella di Weinstein, oltre che una parte integrante della storia degli Academy Awards» (Lorenzo Soria) • Famiglia ebraica, con ascendenze polacche per parte materna • Figlio di un tagliatore di diamanti. «Weinstein è un figlio del Queens, dove è nato nel 1952. Cresciuto in un appartamento di due stanze, condivide con il fratello Bob la passione per il cinema. […] Weinstein si iscrive all’Università di Buffalo, ed è proprio in questa città che lancia il suo primo business: una società di promozione dei concerti, la Harvey and Corky Productions. Le cose vanno bene, e il futuro produttore compra il Century Theatre nel downtown di Buffalo, dove proietta film, quando la struttura non è utilizzata per i concerti. Nel 1979, insieme al fratello Bob, dà vita a una piccola società indipendente di distribuzione di film chiamata Miramax, un nome che unisce quelli dei genitori, Miriam e Max» (Stefania Medetti). «Nel 1986 sono già a Cannes, al mercato dei film, a fare i primi affari. Non hanno tanti sold: si portano un fax in valigia dall’America e lo attaccano al muro. Un anno dopo comprano Pelle alla conquista del mondo, il film svedese che aveva vinto la Palma d’oro, e lo lanciano negli Stati Uniti come una sorta di film d’azione, ottenendo spazio nelle grandi sale e promuovendolo […] con un manifesto con una ragazza sexy e scarmigliata. Trucchetti da venditore, ma così i fratelli Weinstein tolgono i film d’autore e stranieri dal ghetto del cinema d’essai e insegnano un po’ a tutti a fare i soldi anche con prodotti di qualità (Pelle alla conquista del mondo vinse anche due Oscar: per Max von Sydow miglior attore e come migliore film straniero)» (Paola Jacobbi). «È con la produzione del documentario del 1988 La sottolinea linea blu, che racconta la vita di Randall Adams, ingiustamente condannato alla pena di morte, che Miramax inizia a farsi notare. L’anno dopo, arriva il film di Soderbergh Sesso, bugie e videotape, che porta lo studio alla notorietà. I rumors, però, raccontano che i fratelli Weinstein gestiscono il business intimidendo i dipendenti. Nel 1993, la Walt Disney Company […] stacca un assegno da ottanta milioni di dollari e acquista la Miramax. I fratelli Weinstein continuano a gestire la società. Il primo film che esce dopo l’acquisizione è Pulp Fiction, una fra le pellicole più importanti del decennio, a cui fanno seguito Il paziente inglese, Genio ribelle, Shakespeare in Love e Chicago. Mentre Harvey diventa il volto pubblico della società, il fratello Bob decide invece di promuovere in modo autonomo i propri film sotto l’insegna Dimension Films, a cui fanno capo i titoli più commerciali. Nel 2005, i fratelli annunciano la fine del rapporto con Miramax e danno vita a una nuova casa di produzione, la Weinstein Company. Harvey sembra aver perduto il suo tocco magico: oltre un quarto dei film prodotti non incassa un milione di dollari negli Stati Uniti, e alcuni non arrivano nemmeno a centomila dollari. Nel 2009, le difficoltà finanziarie obbligano a un periodo di doloroso riassetto. Nel frattempo, la Walt Disney Company vende Miramax a un gruppo di investitori per 660 milioni di dollari; i fratelli Weinstein tentano, senza riuscirci, di riguadagnarne il controllo» (Medetti). Poi, però, Weinstein «si riprende, recupera le energie. […] Primi fallimenti nella caccia agli investitori: A prova di morte, Bobby. Tiene duro. Ma nel 2008 arriva The Reader – A voce alta, film controverso che fatica a trovare il suo pubblico, ma alla fine ottiene il consenso dei critici e si aggiudica un Oscar (migliore attrice protagonista, la straordinaria Kate Winslet). “Ho ritrovato il mio sangue freddo”. Nel 2009 c’è Bastardi senza gloria, l’anno dopo Il discorso del re. Il 2011 porta The Iron Lady, Marilyn e The Artist. È il suo ritorno» (Peggy Noonan). «Nel 2012, Harvey Weinstein viene nominato da Time fra le cento persone più influenti del mondo. Tre anni più tardi, un report 2015 di Forbes stima […] la Weinstein Company […] 150 milioni di dollari» (Medetti). Al culmine della gloria, l’inizio della fine. «La bomba Weinstein scoppia il 5 ottobre 2017, ed è il New York Times a farla esplodere. Il produttore avrebbe molestato per anni decine di donne: attrici, modelle e dipendenti. Sono loro a parlare al quotidiano. […] Le prime sono Rose McGowan e Ashley Judd. Quest’ultima rivela di una colazione di lavoro in un hotel di Beverly Hills trasformatasi in incubo. “Mi fece salire nella sua stanza, dove si presentò in accappatoio, e mi chiese di guardarlo mentre faceva la doccia. A quel punto pensai: ‘Come posso uscire dalla stanza il più velocemente possibile senza indispettire Harvey Weinstein?’. Mi sono sentita intrappolata. C’era molto in ballo”. Esattamente cinque giorni dopo la notizia esplosiva del New York Times, viene pubblicato dal giornalista del New Yorker Ronan Farrow un nuovo servizio, molto dettagliato, dal quale emergono nuovi nomi, e si aggiunge l’accusa di stupro. Parlano tredici donne; tra loro Mira Sorvino, Rosanna Arquette e l’attrice e regista italiana Asia Argento, che, in una successiva intervista rilasciata a La Stampa, dichiara: “È un orco, mi ha mangiata a soli 21 anni”. Non solo. Asia Argento raccoglie anche in una lista tutti nomi delle donne aggredite sessualmente, postandola sul suo profilo Twitter. Cosa succede? Una sorta di effetto domino. Qualcosa di inimmaginabile fino ad allora. Paura e sofferenza svaniscono, e si crea un’unione tra le donne vittime di abusi sessuali dell’uomo considerato il più potente produttore di Hollywood. […] Parlano tante donne di Hollywood: da Angelina Jolie (“Ho ricevuto in gioventù avances non desiderate, e respinte, in una stanza d’albergo. Come risultato, ho scelto di non lavorare più con lui. Questo comportamento verso le donne in qualsiasi campo, in qualsiasi Paese è inaccettabile”) a Gwyneth Paltrow (“Avevo 22 anni: mi mise le mani addosso, mi spinse verso la camera da letto, in cerca di un massaggio. Ero una ragazzina, ero pietrificata”). E ancora Léa Seydoux, Cara Delevingne, Sophie Dix, Lena Headey; Juliette Binoche, che rivela a Le Monde di una “strana cena” nella suite di Weinstein: “Sentivo che tipo di persona avevo davanti. Il genere di uomo con il quale non uscirei mai a divertirmi”; e Kate Winslet: “Nel 2009, quando vinsi l’Oscar, mi dissero: ‘Ringrazia Weinstein, se vinci’. Ricordo di aver risposto: ‘Non lo farò’. È sempre stato un uomo prepotente e spiacevole”. […] Sono tante le reazioni che arrivano sia dal mondo cinematografico che politico americano. In tanti prendono le distanze o si scusano per non avere avuto il coraggio di testimoniare cose che si sapevano da tanto, tanto tempo. […] A seguito delle inchieste e delle testimonianze è nato il movimento mondiale #MeToo, che ha permesso a migliaia di donne di raccontare le molestie subite» (Daniela Lanni). «"Sono cresciuto in un’epoca diversa". Narrano le cronache che questa fu la prima giustificazione che Harvey Weinstein trovò al suo comportamento all’inizio dello scandalo destinato a travolgerlo. Per lui, la questione era tutto un problema di "cultura generazionale", da curare al massimo in qualche centro esclusivo che potesse "migliorarlo". […] In pochi mesi l’ex Re Mida di Hollywood perde tutto, nonostante il suo tentativo di calmare le acque con una riabilitazione in una clinica dell’Arizona specializzata nella cura per "la dipendenza dal sesso": il consiglio di amministrazione della sua azienda lo mette alla porta, l’Academy, dopo averne riconosciuti i meriti professionali per decenni, lo espelle, i figli (5) gli voltano le spalle, la (seconda) moglie lo lascia e chiede il divorzio. Leggenda vuole che Weinstein abbia ingaggiato anche ex agenti del Mossad israeliano per rintracciare le donne molestate e far pressione su di loro affinché ritirassero le accuse» (Tiziana Prezzo). Accusato da oltre ottanta donne di molestie o abusi sessuali, e di stupro da quattordici di esse (tra cui Asia Argento e Rose McGowan), Weinstein è finito sotto indagine a New York, a Los Angeles e a Londra, ma è stato finora rinviato a giudizio solo a New York, dove ha subìto un primo arresto il 25 maggio 2018, per molestie sessuali e stupro nei confronti di due donne (l’attrice Lucia Evans e una non identificata, forse l’attrice Paz de la Huerta), e un secondo il 9 luglio successivo, per aggressione sessuale predatoria nei confronti della sua ex assistente Mimi Haleyi: in entrambi i casi, dopo essere stato tradotto in manette presso il tribunale di New York, Weinstein è stato assegnato agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e senza passaporto, previo pagamento di una cauzione da un milione di dollari; nell’ottobre 2018, le accuse di aggressione sessuale contro Lucia Evans sono state annullate, in quanto smentite da una testimone ritenuta attendibile. L’inizio del processo è stato fissato al 3 giugno 2019. «Il suo avvocato, il leggendario Ben Brafman che ha difeso Dominique Strauss-Kahn, Michael Jackson, Charles Kushner e una lista lunghissima di celebrità e boss mafiosi (si è rifiutato soltanto di difendere Arafat), dice che le storie delle accusatrici crolleranno “quando saranno sottoposte a controlli incrociati”. “Sempre che – ha aggiunto – si riescano a trovare dodici giurati che non sono già stati consumati dal movimento che ha travolto questo caso”» (Mattia Ferraresi) • Tre figlie dalla prima moglie, la sua ex assistente Eve Chilton; una figlia e un figlio dalla seconda moglie, la stilista e attrice Georgina Chapman, che all’indomani della deflagrazione dello scandalo chiese e ottenne prontamente il divorzio, dicendosi totalmente ignara della condotta del marito: «Io non ho mai sospettato assolutamente nulla. Mai. […] È stato un padre meraviglioso con i miei figli. E quando l’ho conosciuto era incredibilmente brillante. Un uomo colto e sensibile. Pagò le spese mediche a un’amica di mia madre che aveva un cancro al seno. Era meraviglioso. Non so: ora invece, sembra tutto bianco o nero. Ma la vita non è così. Per me è stato un partner stupendo. Era un amico, un confidente, un sostenitore. Certo, ha una personalità spiccata, e […] mi piacerebbe avere le risposte per ciò che è successo. Ma non ne ho» • «Harvey ama leggere, sin dall’infanzia: “Leggo gli autori americani da quando avevo dieci o undici anni. A undici anche i classici russi”. Adora la storia. Legge quattro, cinque quotidiani al giorno e varie riviste» (Noonan) • Smodata passione per i cioccolatini M&M’s. «Per anni non ho avuto il tempo di mangiare altro. Questo mi ha creato squilibri a livello di glucosio, causa poi della mia irritazione» • All’apice del successo, «Harvey dichiarò: “Se non ci fossi, avrebbero dovuto inventarmi. Sono l’unica cosa interessante di questo business”. Ossessionato dal potere della promozione, di fronte a un regista renitente a troppe interviste e apparizioni televisive, urlava: “Non vuoi che la gente veda il tuo film? Non ne sei orgoglioso? Non ci hai lavorato sei cazzo di anni? E allora, qual è il tuo problema?”. Con una lattina di Diet Coke in mano (e una sigaretta nell’altra fino a un po’ di anni fa), Harvey girava per i festival, dal Sundance a Cannes a Venezia, come un lupo sotto stress, sempre affamato di film da vendere e da produrre e, probabilmente, di ragazze da circuire e di concorrenti da schiacciare» (Jacobbi) • «Apprezzato dai critici e dagli addetti ai lavori, Weinstein ha ricevuto espliciti elogi sia dalle star di Hollywood che dai big del Partito democratico americano, di cui è stato sostenitore e finanziatore. Hillary Clinton, che si dice “disgustata” dalle rivelazioni, ha ricevuto grosse somme per il finanziamento della campagna elettorale, così come Obama. Sua figlia Malia, riporta Newsweek, ha fatto uno stage presso la sua società di produzione. “Un uomo meraviglioso”, lo definì l’allora first lady Michelle Obama nel 2013. Per ben 34 volte, secondo uno studio riportato dal sito Business Insider, è stato ringraziato durante un discorso nella notte degli Oscar» (Andrea Valdambrini). «Le domande scomode alla sinistra sono queste: perché il “predatore liberal” ha avuto per tanto tempo indulgenza e protezione? […] Anche il New York Times sottolinea che “per anni il produttore ha colmato di denaro e di attenzioni i democratici, i loro leader, le loro cause politiche”. Incluso il femminismo, visto che “Gloria Steinem si è vista finanziare una cattedra universitaria coi suoi soldi”. Una delle campagne più care alla sinistra radicale, “la denuncia degli stupri nei campus universitari, è stata anch’essa sovvenzionata dal mogul del cinema”» (Federico Rampini) • «Il cosiddetto "caso Weinstein" non poteva però concludersi nella caduta di un dio di Hollywood. La palla di neve si è trasformata in una valanga che ha prima trascinato nel fango tante stelle americane (una su tutte: il premio Oscar Kevin Spacey, costretto ad abbandonare, tra l’altro, la celebre serie tv House of Cards), ha poi coinvolto lo star system globale, fino ad arrivare a interessare il mondo della politica e della cultura internazionale, sotto la pressione del movimento femminista #MeToo. L’ex ministro della Difesa britannico Michael Fallon è stato costretto alle dimissioni per aver molestato una giornalista radiofonica, Julia Hartley-Brewer, toccandole un ginocchio in un pub nel 2002. La premiazione per l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura è stata annullata dopo che si è scoperto che l’erede al trono svedese, Vittoria, sarebbe stata "palpeggiata" dal fotografo Jean-Claude Arnault, che lo scorso novembre è stato accusato da 18 donne di averle aggredite: l’uomo è il marito di Katarina Frostenson, poetessa e membro dell’istituzione che assegna il premio alla letteratura. E i colpi di scena non finiscono qui: è passato da essere il grande accusatore ad accusato anche Eric Schneiderman, procuratore generale democratico di New York, fervente sostenitore della causa #MeToo. È stato costretto alle dimissioni dopo essere stato accusato di violenza sessuale da parte di 4 donne. Il giudice ha ammesso i rapporti, ma ha negato di aver agito contro la volontà delle donne» (Prezzo). «Per la prima volta nella storia, con #Metoo un movimento planetario di opinione ha dato voce alle vittime di abusi, soprusi e violenze, spingendole a denunciare in pubblico e senza vergogna gli uomini che a dir loro ne erano i responsabili. […] Il bilancio è quello di un’ecatombe. […] Nel mondo, sono oltre 400 gli uomini di potere, accusati di molestie e violenze sessuali, che da un giorno all’altro hanno visto distrutta non solo la loro reputazione, ma la loro vita. […] Il caso Weinstein è servito a molte donne a uscire finalmente allo scoperto, a superare la vergogna della violenza subita, a scendere in campo a viso aperto, per battersi in prima linea e chiedere giustizia. Eppure, in molti casi non si sarà anche approfittato di questo sacrosanto cambiamento, per cadere in un abuso opposto e altrettanto riprovevole? La vittima apparente non rischia di trasformarsi in carnefice, rovinando la reputazione del presunto colpevole, condannandolo con un processo sommario, senza dargli la possibilità di difendersi, o semplicemente di offrire la sua versione dei fatti? È possibile che una giusta causa finisca per trasformarsi nel suo opposto? È possibile che, proprio in nome del rispetto e della dignità delle donne, si finisca per tornare al Medioevo, all’epoca dei roghi, della caccia alle streghe, della gogna per le adultere? Intendiamoci, nessuno pretende difendere il mostro. Ma anche il mostro ha diritto alla difesa. E ogni condanna, per essere legittima, non può essere preventiva, ma esige il rispetto delle regole e procedure rigorose» (Marina Valensise). «La vicenda di Weinstein ha da tempo cambiato natura, diventando qualcos’altro. Il produttore è sublimato nell’idealtipo del molestatore maschio, e da lì si è passati direttamente al processo giacobino al maschio tout court. La figura di Weinstein si è fissata come un totem nella coscienza collettiva, i suoi abusi raccontati dalle vittime si sono sovrapposti agli abusi di chiunque altro in qualunque altro momento storico, e pure l’illusione che fosse un dramma legato ai rapporti fra uomo e donna è stato superato dalle accuse di violenze squisitamente omosessuali mosse a Kevin Spacey. […] Forse […] era l’intento originario, scrivere un exposé giornalistico per smascherare un uomo che aveva messo a sistema l’antica logica del casting couch. Poi, seguendo una logica induttiva, il caso Weinstein è diventato l’universale processo al predatore, e da quel momento sono stati talmente tanti gli uomini a finire sotto il rito abbreviato della prima pagina che i più zelanti attivisti si sono forse perfino voluti dimenticare del suo volto barbuto, ché ogni ritorno al caso circostanziato avrebbe diluito le ambizioni universali della campagna» (Mattia Ferraresi). «Ad alzare una vocina di preoccupazione per la pioggia di pietre verbali sull’ex potente di Hollywood, si rischia di essere chiamati a rapporto – “che fai, biasimi le vittime!?”. Cercare di impedire la profanazione del cadavere della reputazione di Weinstein ed essere inondati d’insulti scorticanti dai guardiani della virtù femminile è tutt’uno. Ma è osare troppo affermare che tutto questo è ferocemente antifemminista? Qual è il messaggio che arriva alle donne da questa sconcertante, conformista, morbosa, vigliacca festa del vittimismo femminile? Che dritta, quale aiuto arriva a femmine esposte al bavoso di turno, che non sono né star né collaboratrici di uomini celebri ma come tutte e dappertutto a rischio di avance inopportune da un qualsiasi capo, maschio influente, corteggiatore, amico o prepotente semplicemente arrapato? Siamo sicuri che il “coraggio di denunciare”, purché in branco, siano le sole istruzioni per l’uso di un’aggressione sessuale subita o tentata? Ben venga l’effetto “autocoscienza” del proprio diritto delle donne alla libertà da interferenze e molestie anche solo verbali. […] Ma perché non chiarire che il primo a violare tale spazio è in colpa, in contravvenzione, e che solo se è a rischio l’incolumità fisica è giustificato subire ingerenze grossolane come quelle attribuite a Weinstein? Davvero è legittimo “starci” per paura di perdere occasioni e parti in film di successo? […] Si sta incolpando le vittime? Si giustificano come don Abbondio, che, se una, il coraggio, non ce l’ha, non se lo può dare? Perché non ricordare che esiste il coraggio di dire “no”, subito e senza ambiguità, senza comportamenti equivoci, decise a difendere insieme il proprio corpo e amor proprio? Se non ora quando, care amiche affrante, umiliate e offese, che solo in assetto di mobbing trovate il coraggio? […] Se non è impedita dalla maggiore forza usata, o da un’arma, solo l’opportunismo impedisce a una donna di mandare al diavolo uno scostumato approfittatore. Se non ora quando, di grazia? Se invece lo subisci, non puoi denunciare il fattaccio per paura di rappresaglie che non puoi combattere; così si giustificano tutte le vittime giustamente angosciate e zeppe di sensi di colpa, per la loro pavidità e sottomissione. Se si accetta che le donne in questione, che non si sono ritirate in buon ordine da chi “ci prova”, timorose di perdere il lavoro o l’opportunità di una parte decisiva, siano delle eroine e pure vittime, tutto è perduto. Il femminismo rivoluzionario di Mary Wollstonecraft, di Aphra Behn, di Simone de Beauvoir, di Kate Millet, di Betty Friedan, di Giovanna d’Arco, per Minerva e Atena!, è nato e vissuto in vano. Il timor-panico come bandiera? Che perdita di tempo. Che brutta storia. Che vergogna» (Anselma Dell’Olio) • «Hollywood perdona molto, soprattutto a coloro che sanno produrre successi e Oscar. Ma la collera delle donne offese, come insegna il poeta, è un inferno dal quale difficilmente si fugge» (Vittorio Zucconi).