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«Quando si parla di beni culturali, si applica una morale valida per qualcuno e per altri no. Si agisce per gruppi, più che per metodo». Vittorio Sgarbi interviene sul “caso Caravaggio” a Napoli. Ovvero il mancato trasferimento per una mostra a Capodimonte della tela con le Sette Opere di Misericordiache è diventato molto più di un semplice "no". Lo stop deciso dal ministero dei Beni culturali ha scatenato un attacco ai direttori autonomi dei musei, primo fra tutti Sylvain Bellenger, in carica a Napoli, che aveva promosso il prestito di Caravaggio. Ma anche una lettera allarmata di cento personalità che, in difesa di Bellenger, esprimono il loro dissenso al ministro Bonisoli per "la concezione elitaria e conservatrice della cultura", frutto di alcune iniziative della direzione generale del Mibac. A rischio è l’autonomia dei musei voluta dalla riforma Franceschini.
Sgarbi, che cosa intende quando dice che la morale applicata ai beni culturali non è valida per tutti?
«Dico che ci troviamo davanti a gruppi di potere in contrasto, più che a uno scontro per la tutela dei beni culturali. Le regole che valgono per Caravaggio a Napoli non valgono per Caravaggio a Milano».
Vale a dire?
«A Napoli si dice no a trasferire di due chilometri le Sette Opere di Misericordia dalla chiesa al Museo di Capodimonte, mentre, contemporaneamente, a Milano si accetta che la Canestra di frutta dell’Ambrosiana, dello stesso Caravaggio, si sposti di pochi metri per una mostra a Palazzo Reale: Il meraviglioso mondo della natura, aperta pochi giorni fa. In cui, tra l’altro, non mi pare c’entri granché. Forse a Milano operano amici dei moralisti e a Napoli no? Insomma, va bene impedire i prestiti. Ma dovrebbe valere per tutti. Invece non è così. Le potrei fare altri esempi».
Prego.
«Di certo, il povero Perugino vale meno di tutti. In questo momento, le sei tavole con le Storie di San Bernardino del 1473, studiate da Federico Zeri, che sono il cuore e il senso della Pinacoteca di Perugia sono esposte a Firenze, a Palazzo Strozzi, per la mostra di Verrocchio. Chi va a Perugia non ne trova neanche una. E che dire della Madonna di Senigallia di Piero della Francesca che, da Urbino, è volata all’Ermitage di San Pietroburgo?
Altro che i due chilometri delle Sette Opere di Misericordia di Caravaggio a Napoli… Perché in questo caso il direttore generale del ministero dei Beni culturali Gino Famiglietti non interviene? Sulla tutela o si è restrittivi oppure no».
Crede che ci sia una lobby che influenza il ministero dei Beni culturali?
«Non c’è dubbio. Solo che si tratta di una lobby strabica e schizofrenica che predica di non spostare le opere d’arte da chiese e musei, salvo poi non guardare quando lo fa chi appartiene alla propria fazione».
Lei, alla fine, che posizione ha sullo spostamento delle Sette Opere di Misericordia?
«Su questa storia il ministero ha peccato di autolesionismo. Il ministro Bonisoli è sospeso nel vuoto in balia di Famiglietti. Ricapitoliamo la storia: un privato, il Pio Monte della Misericordia, acconsente a prestare il suo Caravaggio alla mostra di Capodimonte. La Soprintendenza dice di sì. E la direzione generale del Mibac blocca tutto, contraddicendo anche lo stesso direttore Sylvain Bellenger: come se lui non avesse la capacità di valutare i rischi delle iniziative che promuove. Fossi stato in Famiglietti, avrei concesso le Sette Opere di Misericordia per il tempo della mostra, ma poi avrei imposto a Capodimonte di restituire la Flagellazione di Caravaggio alla chiesa di San Domenico Maggiore di Napoli, a cui spetta».
Ma la Flagellazione di Caravaggio è a Capodimonte dal 1972…
«Sì, e anche qui un altro paradosso. La maggiore attrazione di Capodimonte – la Flagellazione di Caravaggio – non appartiene al museo: è stata spostata per ragioni di sicurezza. Ma è del Fec, il Fondo edifici di culto, e della chiesa di San Domenico Maggiore. Ormai ci sono sistemi di allarme adeguati ai tempi. Chi sostiene che un quadro non vada spostato dalla chiesa in cui si trova deve, di conseguenza, anche restituire la Flagellazione. Voglio dire che Famiglietti, con il suo no, potrebbe pure aver preso una decisione giusta. Però è sbagliato tutto il contesto».
Quindi è d’accordo con Andrea Carandini e i firmatari della lettera al ministro Bonisoli che sostengono il direttore di Capodimonte Bellenger?
«I firmatari hanno ragione perché, visto così, l’atto di Famiglietti appare come un capriccio».
Lei sostiene Bellenger, ma si è sempre detto contrario ai direttori stranieri nei musei italiani. Perché?
«Bellenger ha fantasia, ha fatto un ottimo lavoro a Capodimonte. Ma in generale penso sia un puro masochismo decidere che in Italia non ci sia nessuno che abbia i titoli per dirigere i musei più importanti: non metterei mai uno straniero alla guida degli Uffizi o di Brera. Ma è una mia opinione».
All’estero però gli italiani lavorano nei grandi musei.
«Ma in Italia non ci sono stranieri nei vertici apicali dello Stato. Perché per i musei dev’essere diverso? Certo, dei buoni conservatori stranieri possono esserci, ma davvero non siamo in grado di gestire da noi le grandi macchine della cultura italiana?».
A proposito di polemiche internazionali, sono iniziate le celebrazioni per il cinquecentenario di Leonardo. Alla fine la grande mostra resterà quella di Parigi.
«Di fatto, le mostre italiane per il cinquecentenario sono puramente emergenziali. La partita con il Louvre ormai è persa. Per questo dovremmo concedere ai francesi l’Uomo Vitruviano, l’Autoritratto e L’Annunciazione di Leonardo. In modo da ottenere in cambio i quadri di Raffaello per rifarci l’anno prossimo con i due grandi eventi alle Scuderie del Quirinale e a Urbino. È importante che i prestiti non siano mai a cambio zero».
Dica la verità, proporrebbe ancora di spostare i Bronzi di Riace, come chiese per l’Expo 2015?
«Si spostano opere ben più fragili. Potremmo inviarli a Parigi per avere in cambio la Gioconda, no?».