Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 19 Martedì calendario

La prima volta di Aldo senza Trio

Aldo Baglio, attore, è nato a Palermo.

Fulvia Caprara per La Stampa

La prima volta di Aldo Baglio senza i compagni di sempre, Giovanni e Giacomo, è un apologo sorridente sul tema del giorno, ma anche, allargando lo sguardo, sul concetto del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Scatenato viveur, amante di notti folli e belle donne, completo di parrucchino e macchina di lusso, dipendente dai social e innamorato del Rolex, il protagonista di Scappo a casa Michele, in viaggio di lavoro a Budapest, si ritrova migrante tra i migranti, scambiato per extracomunitario, registrato come tunisino, obbligato a dividere le sorti con gente di cui, fino a quel momento, aveva ignorato destini e necessità: «Il mio – dice l’attore – non è un film sull’immigrazione, un tema troppo grande e delicato perché io potessi occuparmene degnamente. Volevo solo raccontare la storia di un uomo superficiale, che scopre quanto è bello guardare oltre le proprie paure e le proprie resistenze. Fino a rischiare per gli altri. Non saprei dire se alla fine Michele diventi un uomo migliore, di sicuro sarà più felice di prima».
Il processo di cambiamento
Insomma, più che di razzismo, Scappo a casa, diretto da Enrico Lando (e da giovedì in 400 sale con Medusa), parla di un «processo di cambiamento, del percorso interiore di una persona egoista e intollerante che si ritrova con lo zaino in spalla, costretta a camminare per il mondo». E a scoprire, come osserva Baglio, che «tutti siamo troppo abituati a parlare con le parole degli altri» e che «mettere muri non serve a niente, di certo non a fermare la valanga di persone che migrano».
Palermitano, classe 1958, fino ad oggi definito «il 33,3% del trio comico più famoso d’Italia», Aldo Baglio ha fatto i conti molto presto con i nodi dell’emarginazione: «Sono cresciuto a Milano, mi davano spesso del “terrone”, ma poi mi sono accorto che da quelle parti c’erano molti più terroni che a casa mia. L’odio fra gli uomini è sempre esistito, accettare e farsi accettare è un passaggio importante, bisognerebbe riuscire a compierlo e ad andare oltre, con maggiore spirito di collaborazione». Una qualità finora poco praticata: «Dovevamo essere i guardiani della Terra, e invece abbiamo fallito. Il mondo è rotto da tutte le parti, a livello ambientale la situazione è così, e non si risolverà, né ora né tra cento anni».
Del neo-Baglio, momentaneamente in versione solista, fanno parte aspetti finora rimasti in ombra, nascosti sotto la patina del comico da risata facile : «Con il telefonino ho un rapporto terribile, c’è troppa roba da imparare e io sono molto pigro. So che in giro ci sono molti miei cloni, ma non mi interessa. Facebook può diventare facilmente uno strumento per escludere gli altri. Basta che qualcuno scriva una cattiveria ed ecco che tutti ti isolano». A chi gli chiede se, nella prova in solitaria, abbia avuto Checco Zalone come modello ispiratore, Baglio risponde con un mezzo sorriso: «No, ho cercato di essere me stesso, semmai, oltre a Tre uomini e una gamba, ho citato Sergio Leone, il mio è uno “spaghetti eastern”».
L’esperimento di Scappo a casa (che doveva chiamarsi «L’indesiderato», ma poi, proprio per dare un’idea di maggiore leggerezza, ha cambiato nome) potrebbe avere seguiti: «In genere quando apro una porta, poi non la richiudo. Se le cose andranno bene, potrei portare avanti altri progetti da solo».
«Nessuna rottura traumatica»
Per adesso, di sicuro, c’è che «in agosto, con Giovanni e Giacomo, inizieremo a girare il nuovo film». Il periodo di lontananza ha giovato a tutti («Giacomo ha fatto uno spettacolo teatrale, Giovanni ha scritto un libro») e la voglia di misurarsi su fronti diversi non era il frutto di una rottura traumatica: «A un certo punto – spiega Baglio -, ho sentito l’esigenza di mettermi in primo piano. Devo dire che ogni tanto ho provato paura e mi sono sentito perso, ma alla soglia dei 60 certi timori vanno superati».
Nel frattempo, a rassicurare Baglio, ci pensa Jacky Ido, l’attore francese di colore che, sullo schermo, interpreta Mugambi, il compagno di viaggio del protagonista: «Scappo a casa è un film estremamente politico, si allontana dall’analisi e si concentra sull’umanità, mostrando persone che, in genere, sono trattate come fossero invisibili».

***

Intervista di Cinzia Romani per il Giornale

Fa una scappatella fuori dal trio, Aldo Baglio del terzetto comico Aldo, Giovanni e Giacomo. E gli nasce un film da solista, Scappo a casa di Enrico Lando (da giovedì, con Medusa e in 400 copie), che scioglie nel divertimento i tormenti legati all’immigrazione. Ma non c’è crisi nel matrimonio a tre, bensì la voglia di sbirciare oltre la porta chiusa d’un sodalizio storico. Qualcosa di brillante che, dal tempo di Tre uomini e una gamba (1997), ha prodotto cinema, teatro, televisione, libri. «Volevo uscire dal seminato. Magari per tornare indietro subito», dice il comico, qui pure sceneggiatore, che adesso si presenta coi calzoni rosa di Michele, meccanico playbpoy e razzista, lesto a pescare sul sito Easy Sex, prima di finire a Budapest per quagliare. Dove lui, tipico italiano scorretto, che sposta di peso una persona ferita, stesa in strada, pur di passare col Ferrari, si sveglia a letto con tre pupe. Merito delle pillole che prende. E del parrucchino-feticcio che gli dà l’aria aitante. Dopo il festino, però, arrivano guai seri: viene derubato e la polizia ungherese lo spedirà al centro per clandestini. Tale esperienza da incubo, lo costringerà a rivedere la sua scala di valori. E ad allearsi con i compagni di sventura: neri che amerà, dopo averli capiti, fuggendo per mezza Europa. D’altronde, Aldo è siciliano (di Palermo), quindi tunisino (è una battuta del film): ha labbra spesse, colorito scuro e, specchiandosi in una pozza d’acqua, si vede nero come l’amico nigeriano. Il film, all’inizio, s’intitolava: L’indesiderato. Nel cast, Angela Finocchiaro, come corrotta poliziotta slovena di frontiera e Jacky Ido, già nel tarantiniano Bastardi senza gloria. Si ride, si riflette e ci si chiede se Aldo, mettendosi in proprio, non possa contendere al pugliese Checco Zalone una fetta di mercato. Checco, del resto, lavora con comparse africane per il suo Amico di scorta, atteso a Natale e dove tratterà il tema dell’accoglienza. Magari è un caso: se Zalone canta «uomini sessuali», Aldo dice «estero sessuali». Vena umoristica simile e focus sui migranti.
Perché un film da solo?
«Sentivo l’esigenza di mettermi in primo piano. Avevo paura, però: non sapevo dove m’avrebbe portato quest’esperienza. Alla soglia dei 60 anni ho colto l’occasione. Era il momento giusto per un anno sabbatico».
Che cosa hanno detto Giovanni e Giacomo, di questa prima volta?
«Hanno capito l’esigenza d’una parentesi. E del resto anche loro hanno fatto cose in proprio: Giacomo, uno spettacolo teatrale e Giovanni, un libro e Adrian, con Celentano. Inoltre, hanno letto la sceneggiatura del film e mi hanno consigliato di accorciare, qua e là. Tra noi il confronto rimane».
Scappo a casa è una satira del razzismo?
«Il razzismo è una tema troppo importante, per parlarne. Ne ho paura... è invece un film sul cambiamento. Di persone come Michele, prima egoista e intollerante, poi più comprensivo, ce ne sono tante».
Eppure, il tema dell’immigrazione qui è centrale.
«Parlo dell’immigrazione, ma in modo superficiale: Michele odia i neri, poi cambia. La mia è una commedia sui sentimenti forti. Un road movie sulla nascita d’una coscienza, che si credeva sopita. Uno spaghetti-western dove, per la prima volta, l’immigrazione è raccontata dal punto di vista di chi la vive».
La sua comicità «in solitaria» s’ispira a Checco Zalone?
«No: cerco di essere me stesso. Ma se facessi i suoi incassi, sarei felicissimo. Per me, questo film viene dal cuore».
Qui è divertente il suo rapporto col parrucchino-feticcio. E’ così anche nella vita vera?
«Mi diverte l’idea di usare il parrucchino. Personalmente, però, non cedo ai riporti».
Anche lei, come Michele, tende all’altruismo?
«Cercare di migliorarsi è necessario. Io ci sto lavorando».
Anche se è una commedia, il suo film, comunque, affronta temi politici attuali.
«Ormai il mondo si è rotto, da tutte le parti. Anche a livello ambientale. Ci vorrebbe più collaborazione. Andare oltre il colore della pelle. Io ho cercato di sdrammatizzare e il film, anche se il tema è drammatico, conserva un tono di commedia».
Si è mai sentito emarginato?
«A Milano mi dicevano terrone. Ma il fatto è che a Milano sono tutti terroni».
Piaceri e dispiaceri dell’essere senza Giovanni e Giacomo?
«Da una parte, ho provato paura. Ma anche piacere d’essere al centro delle cose».
Il trio comico sta per tornare, vero?
«Quest’estate saremo sul set insieme, diretti ancora da Massimo Venier».