Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2019
In Italia un imprenditore su dieci è straniero
Vicino, molto vicino a quota 10 per cento. Sta raggiungendo questo valore il numero degli imprenditori immigrati attivi in Italia. In termini numerici si tratta di oltre 700mila persone nate all’estero, per la precisione quasi 709mila, e rappresenta il nuovo record storico. Fondano e gestiscono attività imprenditoriali e negli ultimi anni hanno fatto da diga al costante calo dei colleghi italiani. I primi nel periodo 2008-2018 segnano una crescita di poco superiore al 41% mentre per gli italiani il calo è stato del 10,5 per cento. Guardando al decennio, secondo i ricercatori della Fondazione Leone Moressa che hanno elaborato la ricerca «Gli imprenditori immigrati in Italia 2018» su dati Infocamere, il saldo totale è in area negativa con una flessione del 7,7 per cento.
«La crescita dell’imprenditoria immigrata rappresenta una sfida per il sistema italiano, con luci e ombre – premette Michele Furlan, presidente della Fondazione Leone Moressa -. Se da un lato questo fenomeno ha contribuito – soprattutto negli anni della crisi – al mantenimento del sistema economico nazionale, compensando e arginando in parte l’emorragia di imprese, dall’altro lato è innegabile come in molti casi nasconda il rischio di irregolarità, bassa produttività e concorrenza sleale».
Sulle cessazioni delle Pmi tricolore pesano, tra l’altro, la carenza del ricambio generazionale tipica di quei piccoli imprenditori, come nel caso del negoziante o artigiano, i cui figli non proseguono l’attività. Pesano poi la pressione fiscale, la burocrazia e nel commercio il calo dei consumi e la concorrenza dei colossi dell’online che mettono in ginocchio le attività meno flessibili o di quei titolari di una certa età.
Per quanto riguarda i paesi d’origine la classifica dello scorso anno è stata caratterizzata da un testa a testa. L’etnia più attiva è quella cinese che per la prima volta conquista il gradino più alto del podio superando gli originari del Marocco. I primi sono 73.800 e negli ultimi dieci anni hanno fatto registrare un incremento di quasi il 73%. Da parte loro i marocchini, circa 72.600, ma accusano un lieve rallentamento. Al terzo posto i 68.600 imprenditori originari dalla Romania. In queste tre nazionalità ci sono un terzo degli imprenditori stranieri attivi nel Paese. «In particolare – prosegue Furlan – la crescita della componente cinese testimonia proprio come, soprattutto in alcuni settori, sia avvenuta una vera e propria sostituzione delle imprese italiane, con una perdita di competitività e conoscenza, di artigianalità, know how. Questa situazione richiede un sempre forte impegno in termini di controlli e accertamenti, al fine di evitare la concorrenza sleale a danno delle nostre imprese».
I dati della Fondazione evidenziano inoltre la decisa crescita di chi proviene dal Bangladesh, raddoppiati nel periodo osservato, Pakistan (+175%) e India (214%). Per quanto riguarda le attività più gettonate i settori più interessanti sono commercio, servizi ed edilizia scelti da oltre tre imprenditori immigrati su quattro.
Ogni nazionalità ha poi precise peculiarità: i cinesi sembrano essere i più versatili perché si dividono tra commercio, manifattura, ristorazione e servizi. Invece poco più di due marocchini su tre sono attivi nel commercio seguono le costruzioni (14,2%) e servizi (11,2%). L’edilizia attira soprattutto i rumeni (53%) e albanesi (63%) mentre nel commercio si spiccano soprattutto gli imprenditori originari del Bangladesh. Le attività si concentrano poi soprattutto in quattro regioni: Lombardia, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna dove sono attive poco più della metà delle imprese. Analizzando il dettaglio a livello provinciale le due “capitali” sono Milano e Roma dove in valori assoluti il rapporto stranieri-italiani sfiora il 15%. Per incidenza invece è Prato l’altra capitale dove quasi una Pmi su quattro è intestata ad uno straniero, quasi sempre cinese. Nel Centro-Sud invece l’incidenza degli imprenditori immigrati è al di sotto della media nazionale.