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 2019  marzo 19 Martedì calendario

Il raptus non esiste

Diciamolo una volta per tutte: il raptus non esiste. Nel linguaggio comune con questo termine si intende un impulso improvviso ed incontrollato (dal latino raptus: rapimento) di forte entità, che porta il soggetto ad episodi violenti e aggressivi verso gli altri o verso se stesso. Il giornalismo italiano usa e si ostina ad usare questo termine avvicinandolo al concetto di momentanea incapacità di intendere e e di volere che, per il nostro ordinamento (art.85 codice penale), esclude la sussistenza del reato e rende il soggetto autore della violenza non punibile. La psichiatria internazionale però ha sempre escluso con fermezza l’esistenza del raptus, poiché non se ne trova traccia nella patologia mentale, e lo considera un concetto obsoleto ed inesistente dal punto di vista medico e scientifico, che non va confuso con nessuna condizione psicopatologica in grado di ridurre la capacità di giudizio. Il raptus quindi per la medicina non esiste, non è un deficit episodico del cervello, ma troppo spesso sotto il cappello del “raptus omicida” si prova a giustificare l’azione di grande violenza e ad attenuare la colpa di chi la commette, mascherando di fatto la malvagità d’animo di individui che covano cattiveria ed inaudita crudeltà, solo apparentemente imprevista ed impulsiva, che trova il momento culminante nell’assassinio, operato in genere su soggetti più fragili, deboli, su persone indifese e quindi più esposte.

ULTIME SENTENZE
Le recenti sentenze di Bologna e Genova, che hanno alimentato polemiche e clamore, hanno dimezzato la pena a due imputati rei-confessi di femminicidio, adducendo attenuanti quali le “tempeste emotive” o “raptus di follia”, ed hanno usato tali termini ad uso giustificazionista ed assolvente, offrendo l’impressione di legittimazione della brutalità, della violenza emotiva e del possesso, e concretamente depotenziando la gravità del fatto e la responsabilità del crimine. Il termine raptus infatti, viene in genere usato dall’informazione mediatica per attribuire la causa di un reato ad un fatto inspiegabile, irrazionale e misterioso, imputandolo ad una momentanea infermità mentale, e viene descritto come una soluzione “narrativa” efficace nelle cronache di sangue, come a giustificare l’efferatezza del delitto, dandogli la parvenza dell’impeto incosciente e mortificando il lungo iter criminoso che invece è sempre presente. Nelle aule di giustizia da decenni non vi è più nessun riferimento forense o scientifico al termine raptus, né con riguardo all’imputabilità, né con riguardo agli stati emotivi e passionali, e nelle perizie psichiatriche che vengono richieste nei casi di omicidi, solo il 5% dei soggetti risulta affetto da incapacità di intendere e di volere, mentre nel restante 95% si tratta di persone normali da un punto di vista clinico, mentalmente sane, niente affatto immerse nella follia od accecate dai fantomatici raptus, fatti passare sovente come fulmini a ciel sereno o lampi di pazzia. L’improvviso atto distruttivo costituisce uno dei capitoli più controversi della psichiatria clinica e forense, e spesso si fa un ricorso del tutto inappropriato ad una condizione mentale che da un punto di vista psico-patologico non esiste, e non esiste nemmeno alcuna connessione scientifica tra il raptus e il femminicidio, perché semplicemente ci sono uomini che odiano le donne, che sono sopraffattori, prevaricatori e violenti, e quando una persona diventa per loro un peso insopportabile, come si fa con i pesi, loro la eliminano. È semplicemente quella che viene definita la banalità del male.

ALCOL E DROGA
L’alcol e la droga sono elementi che possono aumentare il rischio delittuoso, perché possono di sicuro aumentare l’impulsività e diminuire la razionalità, ma deve necessariamente coesistere anche una base di odio, di livore stratificato che si accumula e cresce in modo latente nell’individuo, e che è in grado di far esplodere la violenza, senza la presenza di alcuna patologia mentale o psichiatrica. La depressione è l’altra condizione che spesso viene chiamata in causa nei fatti di cronaca nera, ma le persone depresse, la cui caratteristica principale è la paura del rapporto con gli altri, non sono assolutamente più esposte a compiere alcun tipo di crimine, anzi spesso sono loro a compiere del male verso se stessi, senza alcun raptus. Sicuramente ogni condizione di grave sofferenza fisica o psichica può comportare momenti di grande sconforto, ma le manifestazioni aggressive in corso di depressione sono quasi inesistenti. E poi ci sono le statistiche. Gli uomini che fanno male ai propri figli hanno tendenzialmente un’età tra i 30 e i 45anni, ed utilizzano quasi sempre un coltello o una pistola, a differenza delle donne che commettono invece infanticidi usando oggetti casuali trovati in casa, a volte per soffocamento od annegamento, e questi assassini non colpiscono mai in preda a un raptus di follia, e, cosa più grave, chi gli vive accanto non riesce quasi mai a cogliere i segnali di un eventuale pericolo. Molte persone sane di mente usano il termine raptus per autoassolversi da un gesto rabbioso, violento o crudele, camuffando la propria malvagità come una responsabilità del cervello che li ha resi per un momento incoscienti, senza riconoscere che la coscienza è un bene prezioso e sempre vigile, una voce silenziosa che ci parla e ci guida, ma che, una volta obnubilata dalla rabbia, o ignorata appositamente, è incapace di fermare la mano ingiuriosa venendo prevaricata dalla volontà omicida. Nelle crisi acute di angoscia in cui concomitano turbamento emotivo intenso, emergenze impulsive, dismnesie e soppressione dell’affettività, non si è mai in presenza dell’incapacità di intendere e di volere, e non si può parlare di raptus inteso come turba episodica nemmeno in senso lato, perché l’atto criminale è solo il gesto violento messo in pratica da una persona in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, rendendo quindi il soggetto pienamente imputabile. L’uso improprio ed imprudente del termine raptus, genera nel grande pubblico, poco esperto di questioni psicopatologiche, una certa confusione, dovuta principalmente al fatto che viene veicolato un messaggio errato dal punto di vista clinico, per cercare di dare un senso all’indefinibile, e di fronte a tutto quello che appare difficile da comprendere, descrivere e spiegare, spesso il giornalista compie l’errore di produrre un’informazione sbagliata, e di indurre il lettore o lo spettatore ad una conoscenza irreale che appresa dal giornale o dal telegiornale, nella sua mente diventa realtà, come nel caso del raptus, che è divenuto nella percezione comune una verità scientifica.

TERAPISTI
La Società Italiana di Psichiatria (Sip), a nome dei suoi iscritti, ha offerto alla pubblica opinione una nota stampa per evitare di fornire, in nessun modo, una pur minima sponda agli atti criminali attribuiti ignorantemente ad episodi di “raptus”, dimostrando che in oltre 400 casi di omicidio esaminati, solo tre degli assassini risultavano portatori di una malattia mentale, accertata e certificata,e che nessuno dei crimini aveva nulla a che fare con il raptus. E se è scesa in campo la Sip per demolire eventuali dubbi ed inquietanti compromessi nella individuazione di cause alla base di comportamenti violenti, noi aggiungiamo che nessuno può più permettersi superficialità nel descrivere condotte che non hanno alcuna giustificazione psicopatologica, che non hanno fondamento scientifico, perché, lo ripetiamo, il raptus non esiste, si tratta sempre di un vero e proprio gesto aggressivo, di un atto odioso e criminale che può condurre a morte, e che la nostra società deve imparare a conoscere come tale.