Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2019
La fusione tra Commerz e Deutsche
Questa volta don Rodrigo ha deciso che il matrimonio s’ha da fare. Con il placet politico sembra ormai destinata a realizzarsi la fusione più discussa degli ultimi tempi. Riusciranno due banche afflitte da problemi decennali a smentire il principio elementare che due debolezze non hanno mai fatto una forza?
Per essere più concreti: la nuova e più grande banca, riuscirà a tagliare drasticamente i costi e cioè lasciare a casa un numero enorme (qualcuno stima 25.000) di lavoratori? Certo che la montagna da scalare è alta: Deutsche ha registrato nel 2018 il primo risultato utile dopo una serie di perdite anche importanti, ma il suo Roe sembra il pil dell’Italia: 0,3. Commerzbank si ferma al 3 per cento, assai lontano da qualsiasi stima del costo del capitale. Infatti le azioni di entrambe hanno perso circa il 90 per cento negli ultimi undici anni. Dunque entrambi i partner portano una pesante dote negativa. Auguri.
È significativo comunque che l’accelerazione verso la fusione avvenga in un periodo in cui entrambe le banche hanno subito un’impennata dei costi di finanziamento, in particolare per i titoli assoggettabili a bail-in, che in base alle nuove norme di vigilanza prudenziale devono essere superiori ad un certo minimo (TLAC: Total loss absorbing capacity).
Tutte le banche, a cominciare da quelle italiane, stanno registrando problemi, a dimostrazione del fatto che è pia illusione credere di avere risolto i problemi con la severità delle nuove norme europee.
C’è un dettaglio importante però nel caso tedesco: lo stato ha una presenza del 15 per cento nel capitale di Commerbank e quindi entrerebbe per così dire dalla porta di servizio nel capitale della nuova banca, introducendo un possibile elemento di garanzia per i creditori. La nuova banca sarebbe cioè too big (nonché too German) to fail. Un modo indiretto ma probabilmente efficace per far calare il rischio per i finanziatori.
Ma anche un modo per aumentare quello che è stato definito in decine di paper accademici e di autorità internazionali come un «sussidio implicito», dunque una forma di distorsione del mercato. Davvero l’autorità per la concorrenza non ha nulla da dire in proposito?
E comunque la fusione non risolverebbe i problemi strutturali del sistema bancario tedesco, afflitto ancora dal più alto livello di costi operativi del continente: 80 per cento dei profitti lordi, contro il 60 per cento circa dell’Italia e il 50 per cento della Spagna. Il fatto è che anche il sistema pubblico tedesco (fino alla crisi orgogliosamente mostrato come uno dei punti di forza del paese) langue, soffocato da un numero esorbitante di banche e di personale, nonostante le ristrutturazioni recenti.
Il paese ha ancora 1580 banche, di cui 385 casse di risparmio e 875 cooperative. Una frammentazione ancora peggiore del sistema bancario italiano prima delle riforme di inizio anni Novanta. Anche in Germania la causa è lo stretto rapporto delle banche locali con la politica: la maggior parte dei parlamentari (federali, nazionali o europei) ha nelle piccole banche locali un elemento fondamentale della propria constituency. Moltissimi di loro siedono nei consigli di amministrazione e assicurano un potere di lobby, anche nei confronti delle autorità di vigilanza, che ha pochi rivali.
Negli ultimi decenni questo sistema ha dato il peggio di sé. Lo dice un recente paper di un autorevole e insospettabile studioso tedesco, Martin Hellwig, il quale documenta i rischi eccessivi di ogni tipo presi dalle banche pubbliche e dai loro organismi di vertice, le Landesbanken, che complessivamente sono costati al contribuente ben 70 miliardi di euro per i salvataggi. La simbiosi delle banche locali con la politica ha agito negativamente da tre punti di vista: non ha impedito acquisti massicci di titoli “tossici” americani nel tentativo di puntellare una redditività zoppicante; ha rallentato il processo di concentrazione perché nessun politico è disposto a rinunciare al suo centro di potere; ha reso acquiescente la vigilanza che non è abbastanza indipendente dal ministero delle finanze federale.
La morale del paper è impietosa. Il sistema bancario è un gigante con i piedi di argilla perché, lungi dal risolvere i problemi strutturali emersi negli anni Novanta, li ha aggravati a causa soprattutto di un rapporto simbiotico con la politica che è ancora ben saldo e presente. Il che significa che la vera ristrutturazione del sistema bancario tedesco, come per qualsiasi edificio, deve partire dalle fondamenta. Non dal tetto di una megafusione.