il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2019
Giampiero Mughini, l’erede di Sciascia contro l’antifascismo ipocrita di oggi
Giampiero Mughini, giornalista, è nato a Catania.
C’è un altro Giampiero Mughini oltre al popolarissimo personaggio noto a tutti. È sconosciuto al grande pubblico ed è un intellettuale italiano di sfacciato coraggio.
L’altro Mughini si trova, infatti, dentro Leonardo Sciascia che, come una matrioska, contiene lui e la sparuta filiera di irregolari generati dal maestro di Racalmuto. Sono in tre dentro la bambolina dell’autore de “Il Giorno della Civetta”. Tutti e tre sono siciliani ma lo sono così e così, per dirla con Mughini. Ciascuno di loro abita dentro Sciascia con uno stigma eccentrico rispetto alla letteratura ma, ognuno, fedele al tenace concetto: Salvatore Silvano Nigro – per esempio – lo fa con il lavoro del critico, Ferdinando Scianna con la macchina fotografica e Mughini, appunto, con un libro che no, non è un romanzo, e neppure è un saggio. “Tertium datur” scrive lui stesso firmando la nuova prefazione del volume in assoluto più scandaloso. È un libro che – nel solco di “L’affaire Moro” – conta di scrivere lo stesso Leonardo per trovare luce alla sua morte grazie a Mughini che il 20 novembre 1989, nel giorno della morte dello scrittore, riceve una telefonata da Cesare Interlandi – “Perché non lo scrive lei il libro su mio padre che Sciascia non potrà mai scrivere?” – ed ecco “Lo strano caso di Telesio Interlandi: a via della Mercede c’era un razzista”. Torna oggi in libreria, dopo la prima edizione Rizzoli del 1991, edito da Marsilio. È la storia maledetta e rimossa del direttore de “La Difesa della razza”: la rivista pubblicata tra il 1938 e il 1943 per sostenere e promuovere le leggi razziali in Italia, dunque il segnacolo di orrore della più abietta tra le vergogne di cui questo siciliano di Chiaramonte Gulfi ebbe a farsi custode e promotore. Ed ecco, nel racconto di Mughini, una cena di siciliani a Milano – “siciliano Sciascia, siciliano io, figlio di un siciliano Antonello” – che si ritrovano a discutere il destino del siciliano Interlandi: il fascistissimo artefice di “Tevere”, il giornale preferito di Cesare Zavattini, e “Quadrivio”. Sono le testate che negli anni Trenta ospitano Vincenzo Cardarelli, Mario Soldati, Luigi Pirandello, Alberto Moravia, Antonio Delfini, Mario Mafai e Corrado Alvaro.
Trombadori ventenne – l’Antonello della cena è lui, comunista tra i più autorevoli della cerchia intellettuale – si ritrova con Interlandi in un giornale “dove gli sedeva accanto un altro ventenne, Giorgio Almirante”. E la memoria di gente come Trombadori, scrive oggi Mughini, è “la dimostrazione di come fosse una balla grande così quella che raccontava la Roma e l’Italia degli anni trenta come un tempo in cui un vallo profondo separava i fascisti dagli antifascisti”. Sul finire degli anni ottanta, e per tutti i novanta, l’Italia incontra un’effervescenza culturale sgombra di quegli esorcismi ideologici prepotentemente ritornati oggi, con l’antifascismo di maniera che mette sullo stesso piano l’Italia in cui vivevano e operavano Savinio, Terragni, Longhi o Prezzolini con quella di una mentecatta che indossa la maglietta Auschiwitzland a beneficio dei social. Un libro come questo – che pure ne conobbe di anatemi – un lavoro da scrivere e confezionare oggi, sarebbe impensabile vederlo in libreria. Ma Marsilio ha visto lungo, anzi, l’ha ritrovato dentro l’incastro dell’Affaire Sciascia, la più libera tra le nostre matrioske.