la Repubblica, 17 marzo 2019
Gli arabi, la Scala e le polemiche
Diventa un caso l’ipotesi di un accordo tra l’Arabia Saudita e il teatro alla Scala, che potrebbe spianare la strada a un posto per il governo di Riad nel Consiglio di amministrazione tra i soci fondatori del massimo teatro lirico italiano. In cambio di una donazione di ben 15 milioni di euro. Tanto che dell’argomento potrebbe occuparsi un Consiglio di amministrazione straordinario della Scala o quello che è già stato convocato lunedì 18 marzo, per chiedere conto della tratativa al sovrintendente Alexander Pereira. Dopo la “diffida” a concludere un accordo del genere con il governo saudita per ragioni di opportunità, che il board scaligero avrebbe rivolto al sovrintendente nel corso della riunione dello scorso 18 febbraio, quando Pereira aveva annunciato un biennio di tournée dall’Arabia al Giappone.
«Non è vero nulla», replica allarmato Pereira. Che precisa: «Nessuno si è opposto a ricevere questi soldi. Non c’è ancora nulla di scritto, ma si tratta di discutere a quale titolo una società o un privato dell’Arabia Saudita potranno versare questa cifra. È una grande opportunità». Il suo timore è che ora l’accordo sfumi.
Si tratta di 3 milioni di euro per cinque anni più altri 100 mila euro annui per finanziare l’accademia per musicisti. Tre le ipotesi sul tavolo. L’ingresso nel cda del principe Badr. Quella di un rappresentante del ministero della cultura saudita. O quella di un privato o di una compagnia petrolifera araba. Potrebbe essere la Saudi Aramco, la compagnia saudita che, forse non a caso, è la proprietaria dell’auditorium dove i complessi scaligeri eseguiranno nel 2020 La Traviata in forma di concerto diretta da Zubin Mehta.
La fuga in avanti di Pereira, però, avrebbe messo in allarme i componenti del cda, di cui fanno parte, oltre al sindaco di Milano Beppe Sala, Giovanni Bazoli, Claudio Descalzi, Alberto Meomartini, Aldo Poli, Giorgio Squinzi, Francesco Micheli, Margherita Zambon e Philippe Daverio.
Il sindaco Sala per il momento tace, ma fa sapere che ogni decisione dovrà passare prima dal cda. «Se si trattasse di fare un accordo con una compagnia petrolifera, se ne potrebbe anche parlare – sarebbe la linea che ha prevalso durante l’ultima riunione del board della Scala – ma non con uno Stato che non rispetta i diritti umani». Una linea che sarebbe stata concordata anche con il ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, che nel Consiglio può contare su ben due rappresentanti. E sposata anche da Regione Lombardia, che è rappresentata, invece, da Philippe Daverio.
«Senza contare, che qualsiasi ipotesi di accordo culturale con un’altra nazione – spiega una fonte che chiede di restare anonima – dovrebbe prima avere il benestare del Quirinale e del governo».
Il caso dei fondi sauditi scoppia in un momento delicato per la Scala. Il teatro, al momento, avrebbe dato il via libera solo alla tournée del prossimo anno, 2020. Lo stesso della scadenza della sovrintendenza di Pereira che, come è noto, punta alla riconferma. Almeno fino al 2022, quando finirà anche il contratto del direttore musicale Riccardo Chailly. Nel frattempo, tre consiglieri di amministrazione, Micheli, Bazoli e Meomartini, avranno il compito di selezionare una rosa al massimo di 3 o 4 candidati. Per individuare chi, eventualmente, affiancherà Pereira fino alla scadenza prima di succedergli. Tra gli aspiranti a quel ruolo, circolano da tempo i nomi di Carlo Fuentes dell’Opera di Roma, o quello di Fortunato Ortombina de La Fenice di Venezia. Sempre che Pereira, forte del numero e del peso degli sponsor portati alla Scala in questi anni, non riesca a strappare la riconferma per un altro mandato pieno.