il Fatto Quotidiano, 17 marzo 2019
Catena Fiorello: Le scrittrici sono troppo impostate, pensano solo a frequentare i salotti
Catena Fiorello, scrittrice, è nata a Catania.
Secondo uno studio dello psicologo americano Frank J. Sulloway, l’ordine di nascita è fondamentale. Il primogenito è leader, il più piccolo è creativo e ribelle, chi sta in mezzo è portato al compromesso e se non viene stritolato dagli altri, alla fine, può stupire più di tutti.
Sembra la famiglia Fiorello.
Catena è terzogenita, cinquantadue anni, quando parla ogni tanto coccola la sua inflessione siciliana, accoglie in casa con un vassoio dedicato alla merenda o all’aperitivo, dipende dai punti di vista; rifiutare non è previsto, si rischia l’offesa personale: “Almeno una mandorla!”.
Per anni ha seguito la carriera del fratello Rosario (“dalla stipula dei contratti all’arredamento dell’ufficio”), poi all’improvviso ha letto dentro se stessa e scoperto il desiderio di scrivere. Oggi è una penna da classifica e il suo ultimo romanzo, Tutte le volte che ho pianto, è in grado di strappare applausi e lacrime.
Il suo esordio letterario.
È del 2003 e già allora seguivo Rosario, ero perennemente con lui, dedicata a lui.
Sbrigava anche le rogne.
Sono stata io a trovare il coraggio per dire ‘no’ a Mike Bongiorno.
Impegno gravoso.
Di più. Mike era fissato, pensava a un programma negli Stati Uniti con mio fratello, solo che Rosario rifiutava l’ipotesi di salire su un aereo; Mike non desiste, lo convince, andiamo avanti nei progetti, fino a quando, alla vigilia, vince la paura.
E…
Chiamo Mike: ‘Mi dispiace ma Rosario non vuole’.
Lui contento.
Incazzato come pochi. Ma allora ero il parafulmini; simile la situazione con Raffaella Carrà, altro progetto saltato all’ultimo.
Non aveva una sua vita.
Zero, per questo ho lasciato il mio fidanzato: la mia è stata una forma di clausura lunga circa vent’anni; ma una bella vita, mi sono divertita, viaggiavo, conoscevo persone.
Torniamo all’esordio da scrittrice.
Nel 2003 invio un’email un po’ surreale a Cristina Lupoli Dalai, di Dalai editore: ‘Mi scusi, vorrei scrivere un libro, ma non so dove e da chi andare’.
Risposto?
Non subito, perché la segretaria le disse: ‘Signora, è arrivata un’email da una Catena’, solo che lei capì ‘catena’ nel senso di Sant’Antonio, virale, e rispose ‘per carità!’, Solo dopo ha compreso.
Che libro pensava di scrivere?
Una serie d’interviste dedicate a personaggi arrivati dal nulla e in grado di costruire una carriera.
Un po’ come i Fiorello…
In qualche modo, sì (Mentre risponde, in televisione si materializza Beppe Fiorello, protagonista di uno spot: ‘Toh, guarda il caso’).
Dopo quel libro…
Sempre la Dalai: ‘Sei brava, scrivi un romanzo’. Solo che il mondo dell’editoria mi era sconosciuto e anche oggi non lo capisco molto.
In particolare?
Non sono legata morbosamente a questo lavoro, non ho l’ossessione, mi piace, se l’editore investe su di me, allora lo ricambio con il sangue, ma non ho le fisime degli altri scrittori.
Quali fisime?
Per una recensione si farebbero ammazzare, pensano solo a frequentare i salotti giusti, quelli ambiti per incontrare persone giuste.
Non è da lei…
Nun ce la fazzo, eppure in questi anni insieme a mio fratello ho costruito delle relazioni considerate utili, però non riesco.
Il suo primo romanzo “Picciridda” è diventato un film.
Appena pubblicato Rosario mi disse: ‘Lo vuoi un consiglio da fratello? Non firmare con il tuo nome’. E perché? ‘Fidati, non sai le cattiverie che ti diranno, lo so’. Non gli ha dato retta.
E le cattiverie sono giunte?
Molto meno del previsto, poi però mi sono comunque fermata: Rosario aveva troppo bisogno di me, e non potevo continuare a trascurarlo.
Da brava sorella di mezzo.
Ci penso da sempre.
Qual è la sintesi?
Sono stata schiacciata da Rosario, primo figlio maschio, poi è arrivata Anna, la prima femmina e Giuseppe il piccolo.
Il suo ruolo.
Non servivo a un cazzo. Ero senza ruolo, ho lottato tutta la vita per attirare l’attenzione.
Sopravvivenza…
Costanzo diceva a Rosario: ‘Nella vostra famiglia quella veramente giusta è Catena’.
Bel complimento.
Comunque è vero: nella mia testa non servivo a nulla, ogni giorno lottavo, soprattutto per avere mio padre solo per me, mentre c’era sempre qualcuno in mezzo che rompeva le scatole.
Quando ha capito di non essere inutile?
L’altro giorno a un’amica psicoterapeuta ho rivelato: ‘Il vero problema è che mi sento sempre uno straccio vecchio’. Resto stupita quando vedo le persone venire alle presentazioni dei miei libri.
Dubita.
Sempre, anche quando finisco un nuovo libro.
A scuola come andava?
Molto bene, dovevo dimostrare, sono riuscita a conquistare la professoressa d’italiano, greco e latino, il terrore della scuola, donna severissiva vicina al sadismo. Il problema è che in classe mi distraevo sempre, non stavo mai zitta.
Gruppetto di amiche.
Sono una battitrice solitaria. Con le donne mi trovo male.
Il suo ultimo libro è molto femminile.
Sono femministissima.
E allora?
Sono una protettrice esterna, non riesco a vivere il gruppo: spesso le donne entrano in competizione, e non amo quelle situazioni, mi annoiano.
Non c’è solidarietà.
Macché! Soprattutto nell’ambito lavorativo, non ci aiutiamo tra di noi, e questi atteggiamenti li denuncerò sempre anche a costo di crearmi delle nemiche: a parte pochissimi casi, nella vita di tutti i giorni, non ho mai trovato solidarietà, e me ne sono accorta pure dentro i salotti televisivi.
Cosa accade?
Scatta una lotta, una gara per emergere a ogni costo. È patetico.
Nello specifico?
Questo mondo lo conosco da anni, oramai decenni, e da varie latitudini: so leggere l’esplicito e l’implicito, il detto e il non detto; il linguaggio del corpo; quindi capisco quando uno sguardo è una moina, e ogni volta penso: ‘Cosa faccio qua?’.
Però?
È utile per il libro.
Non si sottrae.
Una volta vado in una trasmissione, tutto fila alla grande, alla fine gli autori vengono da me: ‘Bravissima, per favore resta anche per la seconda parte’. Accetto. Poco dopo torna il responsabile, e imbarazzato corregge la direzione: ‘Niente da fare’. Come mai? ‘Sei troppo parlante’.
Che vuol dire?
La conduttrice si era lamentata della mia eccessiva verve, si sentiva oscurata. E non era neanche la prima volta che capitava.
Non è competitiva.
Ho 52 anni e se vedo una ragazza giovane e bella, come posso gareggiare su quei parametri? Sarei ridicola.
La protagonista del libro è una donna molto sola.
Spesso leggo libri di autrici importanti, per carità scritti bene, ma li sento troppo impostati, corretti, mentre la realtà è quella di Alda Merini, povera disgraziata abbandonata, l’hanno lasciata morire avvelenata. Ora sono tutti seguaci e votati alla sua opera.
Ama la Merini?
Era una battitrice libera, mi piacciono le donne così, non le scrittrici di oggi, brave a riunirsi in gruppetti.
Cos’altro non tollera?
L’idea che l’intellettuale deve essere necessariamente emaciato, sofferente, lontano dai social, e che quando presenta il proprio libro è obbligato a snocciolare una serie infinita di citazioni dotte.
Capita spesso?
Sempre! Ed è una patologia degli autori italiani.
“I ‘ma’ intossicano la vita”, scrive lei.
Li detesto, mio padre non ne ha mai pronunciato uno.
Deciso.
Ricordo un episodio di metà anni Ottanta, quando Rosario sparì ad Abidjan in Costa d’Avorio, insieme a un gruppo di ragazzi della Valtour. Tragedia in casa.
Birbante.
Era partito per la stagione, una volta atterrati non hanno più dato notizie e per giorni; mamma a pezzi, mio padre, innamoratissimo della moglie, esce di casa con la frase: ‘Non ti preoccupare Sarina, ci penso io’. Non so come, ma poche ore dopo lo ha rintracciato al telefono, quando hanno avvertito Rosario della chiamata, lui stesso non credeva fosse possibile: ‘Papà, come mi ritrovasti?’. ‘Figlio mio, solo da morto non ti potrò scovare. Prima di allora ti troverò sempre ovunque nel mondo’.
Il suo compagno com’è?
L’opposto di papà, lui è pieno di ‘ma’, gli devo ricordare tutto, anche della festa delle donna: ‘Devi mandarmi i fiori’. Però ha altre qualità.
Non è sposata.
Non ci penso proprio, sono già fuggita in ben tre occasioni, con tanto di vestiti scelti e comprati, partecipazioni fatte. Voglio morire signorina…
Alle nozze non crederà più nessuno.
Mia madre, al terzo abbandono, è stata l’unica a non scomporsi, non si era mossa di un millimetro, non aveva neanche scelto il vestito per sè: ‘Sapevo come sarebbe andata a finire’.
Suo padre?
È morto prima (Quando parla del papà cambia sempre tono e sguardo) Sul lavoro era un finanziere rigido e attento, serviva lo Stato, mentre nella vita privata era il vero Fiorello di casa: lui doveva diventare il grande artista.
Showman.
Una volta lo voleva ingaggiare il circo equestre e dopo aver assistito a una sua esibizione. Cantava benissimo, poi era bello. Fu mia nonna Catena D’Amore a impedirlo: gli si attaccò alle caviglie.
Catena D’Amore?
Sì, il suo nome; donna rara, negli anni Trenta portava la bandana e fumava il sigaro, mise al mondo mio padre senza un uomo al suo fianco: rimasta incinta del vicino, già sposato e con prole. Rifiutò l’aborto.
Coraggiosa.
Davvero, donna incredibile: non parlò mai male di quell’uomo; poi quando papà partì militare per Gorizia, all’improvviso gli disse: ‘Una volta arrivato mandaci una cartolina a tuo padre’. E gli rivelò il nome.
La cartolina?
Ritrovata due anni fa grazie alla nipote di quest’uomo; ho riconosciuto la sua grafia: ‘Caro padre le mando un saluto da Gorizia’. Mi sono commossa. Comunque nonna era analfabeta, ma amava le poesie, quindi aspettava il passaggio di qualcuno ed esordiva: ‘Compare Filippo, sapiste leggere?’. Poi si assettava sulla terrazza e ascoltava felice.
“Complicato saper godere dei momenti felici”, parole sue.
Sono impossibilitata a godere del presente.
Esempio.
L’altro giorno mi hanno chiamato per complimentarsi della classifica e delle vendite; dentro di me già pensavo: ‘Tanto prima o poi esco’.
Perfetto.
È così: un paio di anni fa, mi hanno operato di tumore al seno ed è andata molto bene, neanche la chemio o la radioterapia, il professore contentissimo, nonostante questo la prime parole sono state: ‘Magari torna dall’altra parte’.
Pessimista.
No, realista. E detesto la positività a oltranza di questi anni, è da superficiali, e i superficiali sono pericolosi; questa è una società che non vuole affrontare il dolore, fugge a ripetizione.
La felicità esiste?
No, per questo ai miei personaggi do sempre una chance, almeno la possono trasferire a me.
Twitter: @A_Ferrucci