Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 17 Domenica calendario

Storia delle giostre. Una mostra

Salutano come se fossero in partenza per un lungo e avventuroso viaggio, si sbracciano seduti su cavalli di legno o su piccole macchinine colorate. Eppure non vanno da nessuna parte, girano in tondo, pochi metri e sono di nuovo sotto gli occhi dei genitori, che si sbracciano a loro volta. La giostra è la prima avventura che un bambino compie da solo, con quel misto di adrenalina e paura che gli fa gli occhi attenti: da un lato la voglia di andare, farsi portare lontano da quel cavallo, sognare che le sue zampe si stacchino dalla pedana e inizino a galoppare via, fuori dal perimetro del luna park; dall’altro il bisogno di non allontanarsi troppo, ché il cuore batte più forte quando la giostra si trova nella zona cieca da cui è impossibile trovare con lo sguardo il braccio svolazzante del genitore.«La giostra corre suonando una canzonetta, a un ritmo veloce almeno quanto la rotazione della terra: cavalcata radiosa, delizia e paura, sotto la segreta minaccia di non fermarsi più», scriveva Elsa Morante in Aracoeli.
La convivenza di due sentimenti contrastranti («delizia e paura», appunto) è una costante davanti alle giostre: se per i bambini si tratta di euforia e timore, per gli adulti si trasforma in allegria e malinconia.
«La giostra è una grande madeleine proustiana – spiega Roberta Valtorta, curatrice della mostra «Giostre! Storie, immagini, giochi», a Rovigo dal 23 marzo al 30 giugno -. Grazie ai colori alle forme familiari di animali e mezzi di trasporto posti su un cerchio in movimento, è in grado di sviluppare la sua improvvisa forza evocativa. Non importa che la giostra richiami un ricordo esatto, un preciso momento, un luogo, anzi, spesso ci mette solo in una sorta di disposizione al ricordo: quel che è certo è che il misterioso meccanismo si mette in movimento, e che il suo oggetto è immancabilmente duplice, perché riguarda il tempo dell’infanzia e insieme la bellezza».
Se da un lato c’è la tenerezza per qualcosa che riporta l’adulto alla sua infanzia, dall’altro c’è la malinconia di un trucco di magia svelato: guardare con gli occhi di un uomo quella piccola mandria di cavalli laccati che girano a vuoto non fa che acuire la tristezza dell’età adulta. «C’è qualcosa di surreale nel girare in tondo senza andare da nessuna parte – sottolinea Valtorta -, se per un bambino questo movimento può attivare la fantasia, nell’uomo genera frustrazione». 
Valtorta paragona la giostra alle “macchine celibi” di Michel Carrouges, che «al contrario delle macchine reali o anche della maggior parte delle macchine immaginarie, ma razionali e utili, si presentano innanzitutto come macchine impossibili, inutili, incomprensibili, deliranti». 
Eppure, per quanto tristi (soprattutto quando sono ferme), le giostre continuano a calamitare lo sguardo degli uomini. «Costituiscono, infatti, uno speciale oggetto sociale sorto dalla cultura popolare allo scopo di donare una breve ma ripetibile felicità originaria e per far vivere una esperienza rituale di bellezza sia a chi vi sale per lasciarsi trasportare sia a chi, da fuori, la guarda», spiega Valtorta.
E, in effetti, è impossibile, quando si pensa a un luna park, non figuarsi anche la cultura popolare che gli ruota attorto, comprese le famiglie di giostrai che portano in giro quel piccolo circo. «La giostra, insieme al circo, è quanto rimane dello spettacolo popolare itinerante», scrive infatti Emilio Vita, studioso dello spettacolo popolare. Si tratta di tradizioni portate avanti da piccole comunità. E il polesine – dove sarà allestita la mostra – è un territorio di giostrai: hanno cominciato all’inizio del ’900, erano famiglie poverissime che portavano in giro giochi per bambini montati sui carretti. In un secolo hanno messo su la fabbrica dei sogni e creato un distretto industriale che oggi esporta in tutto il mondo e che rappresenta il 60% dell’attività industriale del polesine. 
La mostra, visitabile a Palazzo Roverella, include fotografie di 60 fotografi, dipinti, poster degli anni ’20 e ’30, modellini, pezzi di giostre dell’800 e alcuni filmati video. Un “viaggio” che parte dai giochi rituali delle società contadine e arriva fino alle attrazioni dei luna park di oggi, dalle prime “shimmy” a vapore agli ipertecnologici parchi di divertimento. Perché non importa quale sia il gioco su cui si sceglie di salire: che sia un cavallo di legno o una sedia appesa a delle catenelle, a bordo si percepirà sempre quel sapore dolceamaro di nostalgia.