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 2019  marzo 17 Domenica calendario

Tasse, riaperte milioni di cartelle

Una dotta disquisizione giuridica su un tecnicissimo tema fiscale cancella di colpo le tre rottamazioni di milioni di cartelle nate fra 2000 e 2006 per Ici, Tarsu, multe e altri tributi locali sparse in centinaia di Comuni. E già che c’è rende illegittimo, per gli stessi Comuni e gli stessi anni, lo stralcio delle mini-partite fino a mille euro. E anche la vecchia cancellazione dei debiti ante-2000 decisa nel 2003. Le cartelle stralciate o rottamate rinascono dalle proprie ceneri: i contribuenti interessati rischiano di vedersi chiedere imposte, sanzioni e interessi. Il tutto in un caos gestionale quasi irrisolvibile. Perché i debiti rientrati in gioco sono antichi, e spesso di basso importo unitario. Ma sono tanti, e la loro riscossione ridiventa obbligatoria: chi gestisce entrate pubbliche deve renderne il conto e sopportare importanti responsabilità anche erariali.
La disquisizione dotta, qui è il problema, è scritta in una sentenza della Corte costituzionale. È la 51/2019 (presidente Lattanzi, relatore Antonini) depositata venerdì. I giudici costituzionali, impegnati a decidere sulla legittimità di una norma che proroga fino al 2032 i termini entro i quali gli agenti della riscossione devono comunicare agli enti creditori l’addio alle vecchie cartelle ormai impossibili da incassare, si sono posti una domanda cruciale: le società scorporate da Equitalia, e attive nella riscossione dei tributi locali, sono equiparabili all’«agente della riscossione»? La risposta è netta, e negativa. Perché queste società «non fanno parte del sistema “pubblico” della riscossione». E le conseguenze sono a catena. A loro non si applica la maxi-proroga delle comunicazioni di inesigibilità, che era il tema diretto del contendere. Ma nemmeno le tre rottamazioni e gli stralci che, come spiegano puntualmente le varie leggi che si sono succedute per chiudere in maniera agevolata i rapporti con il fisco, riguardano «i carichi affidati agli agenti della riscossione» (si veda per esempio, da ultimo, l’articolo 3, comma 1 del decreto fiscale 119/2018).
La prima impresa sarà ora quella di ricostruire il perimetro del problema, nella complicata vicenda delle società uscite a suo tempo da Equitalia. Sui tavoli della Corte costituzionale è arrivata la Soget, che da Novara a Monza, da Teramo a Lecce passando per Salerno fino a Catanzaro lavora per oltre 300 Comuni e spiega nel proprio sito istituzionale di essere impegnata con amministrazioni locali «in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, Lombardia, Puglia, Sardegna, Toscana e Umbria, attraverso una rete di 80 filiali». Ma dalla Sorit (concentrata a Ravenna e negli enti della Romagna) alla campana Geset e alla calabrese Sogert, sono molte le società sparse sul territorio che hanno avuto (e hanno) in gestione le entrate di centinaia di Comuni dall’estremo Nord al profondo Sud.
La loro esistenza autonoma inizia nel 2006, in seguito allo «scorporo» dal vecchio agente della riscossione previsto dal decreto fiscale dell’anno prima (il 203/2005), quello con cui l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha fatto nascere Riscossione Spa poi diventata Equitalia infine trasformata in «Agenzia delle Entrate-Riscossione» dal governo Renzi.
Fino al 2006, queste strutture hanno quindi gestito la «riscossione a mezzo ruolo», cioè proprio quella interessata da stralci e rottamazioni. E ora che succede? Il caos, appunto. 
Le cartelle cancellate o estinte con le «definizioni agevolate» riprendono vita; ai contribuenti che hanno «rottamato» bisognerebbe restituire il pagamento con lo sconto, e chiedere in cambio il versamento integrale con tanto di sanzioni e interessi. I Comuni interessati dovrebbero riportare i crediti in bilancio, dopo aver verificato la loro effettiva riscuotibilità. Nell’ennesimo ciclone su un fisco locale bloccato dall’eterna attesa di una riforma organica.