Robinson, 17 marzo 2019
Il lato oscuro del mercato dei libri antichi
Potremmo cominciare questo articolo illustrando le meraviglie dei frontespizi rinascimentali che dal 22 marzo saranno esposti nel Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, a Fontanellato vicino a Parma. Potremmo celebrare la nobile schiatta degli umanisti bibliofili, lunarmente distanti dal registro pubblico che dell’ignoranza fa un vanto. Ma sarebbe un attacco del pezzo sbagliato, perché in questi giorni l’unico volume che muove gli animi dei librai antiquari, il” libro del diavolo” che indigna, inquieta, divide o ammutolisce, non esibisce sigilli antichi ma un titolo preso da un nickname di Skype, Max Fox. Ed è opera dello storico torinese Sergio Luzzatto, che ha deciso di dedicare trecento pagine alla figura di Massimo De Caro, lo spregiudicato mercante di libri che nell’Italia di Silvio Berlusconi diviene il direttore- saccheggiatore della Biblioteca dei Girolamini, a Napoli. Contro il saggio einaudiano sono già al lavoro gli uffici legali per chiederne il sequestro. Con l’esito paradossale che Max Fox rischia di scivolare nel mercato delle rarità introvabili.
Perché tanto scalpore nell’ambiente? Perché il racconto di Luzzatto, affidato alle fluviali confessioni dell’Impostore, si traduce in un severo j’accuse contro un sistema di librai e restauratori che dei duemilaseicento volumi trafugati a Napoli, delle innumerevoli copie antiche sottratte dalle biblioteche di Montecassino, Verona, Firenze e Arezzo, e delle contraffazioni galileiane fabbricate dall’astuto falsario sarebbero stati complici e destinatari. Dalle pagine di Max Fox il mondo delle librerie antiquarie esce a pezzi: ingigantito soprattutto nelle sue opacità, nella spregiudicatezza di raffinati mercanti che comprano incunaboli e cinquecentine senza troppo badare ai timbri di provenienza, nell’ingenuità credulona di giornalisti eccitati, nell’affarismo un po’ ruspante di new comers disposti a tutto pur di mettere le mani su pergamene appetite dal collezionismo planetario. E ovunque sembrano cadere confini certi tra legalità e illegalità, tra bene e male, tra bibliofilia e bibliofollia ( copyright Giampiero Mughini). Ma se l’affresco rocambolesco può apparire letterariamente seducente – non a caso per il libro c’è già una proposta cinematografica – questa di Luzzatto non è un’opera di fiction. Ed è franata come un macigno sulla cittadella del libro antico, già economicamente squassata dalla concorrenza di Internet che ha messo alle corde la vecchia figura del mediatore antiquario.
E allora vale la pena di fare un salto sotto i portici di Bologna nella libreria Docet, in vetrina un meraviglioso frontespizio del 1521 tra putti e grappoli d’uva. «Un angolo anacronistico dove i turisti si fanno il selfie», lo definisce scherzosamente Loris Rabiti, che ha ereditato dal padre la bottega fondata nel 1946 dagli zii della madre. Loris è molto arrabbiato. Ha letto il libro di Luzzatto e ne ha ascoltato un’intervista radiofonica dal tono aspro. «Ma come si fa a rappresentarci tutti come una manica di mercanti borderline, disposta a fare cartello sul piano internazionale? Noi come gli spacciatori colombiani? Così si fa torto alla massima parte del mercato del libro antico, il cui giro d’affari si aggira intorno a cifre modeste, dalle poche decine alle poche migliaia di euro a volume. Sono pochissimi i colleghi italiani che trattano opere dagli ottantamila in su, con punte da mezzo milione». Sorridono in modo grottesco le maschere settecentesche appoggiate sugli scaffali della libreria.Da due anni Loris Rabiti è anche vicepresidente dell’Alai, l’Associazione che rappresenta le librerie antiquarie. Alcuni soci come Luca Cableri, titolare della Wunderkammer di Arezzo, sono stati allontanati perché coinvolti nell’inchiesta sul furto della Biblioteca dei Girolamini. Ma tra gli associati accusati da Luzzatto di fare affari con De Caro compaiono anche librai del calibro di Umberto Pregliasco – terza generazione d’una nobile stirpe torinese e presidente dell’Alai dal 2004 al 2010 – e di Filippo Rotundo, il proprietario della romana Philobiblon che insieme al collega di Torino ha fondato nel 2011 una libreria a New York. «Noi dobbiamo stare alle risultanze della magistratura», dice Rabiti. «Né Pregliasco né Rotundo ci risulta siano stati condannati. E la prospettiva inquadrata da Luzzatto è incompleta». Al telefono Francesco Salamone, avvocato di Rotundo e dell’Alai, annuncia un’iniziativa legale contro l’autore e la casa editrice. «Per conto del mio assistito Rotundo, chiederemo anche il sequestro del libro. Luzzatto non può allungare il sospetto di ricettazione senza tener conto dei dispositivi di archiviazione. Per ciascuno dei casi che cita, si sarebbe dovuto domandare: come è andata a finire? Di questo gli chiederemo conto». Quindi Max Fox rischia di venire ritirato dalle librerie? Lasciamo agli avvocati la guerra dei documenti.
Seduto in un caffè di piazza Argentina, a Roma, Luzzatto ascolta le critiche mosse dal vicepresidente Rabiti. «Su una cosa ha ragione: i librai antiquari non sono tutti eguali. E forse è eccessivo usare un’unica tinta fosca per raffigurare un mondo variegato. Si potrebbe pensare a due gironi: uno è il campionato ordinario dove si gioca scrupolosamente secondo le regole, l’altro è il campionato delle eccellenze dove il giro d’affari è di svariati milioni di dollari e non ci si fa troppe domande». Lo storico non crede alla favola del lupo solitario che si muove in un mondo di agnellini. «Nell’ambiente si poteva intuire chi fosse De Caro prima ancora che si rivelasse come il Saccheggiatore. Le sue collezioni erano di provenienza sospetta, perfino i modi discutibili: perché allora farci affari?». Qui ci avviciniamo al terreno più scivoloso della storia: ben prima della surreale nomina a” consigliere culturale” del ministro Galan, De Caro si era fatto notare nel mercato antiquario per spregiudicatezza e piglio minatorio. Perché l’Alai non ha preso le distanze e anzi ha continuato a intrattenere rapporti? L’attuale vicepresidente Rabiti alza le braccia: «Stava in un giro alto, si era accreditato nella diplomazia internazionale e dentro il Vaticano: non avevamo elementi per denunciarlo. Su di lui circolavano chiacchiere, ma niente di paragonabile a quello che sarebbe emerso dopo il 2011». Esiste però un confine che è di natura morale, ed è su questa vischiosità che De Caro ha costruito la sua fortuna. «Ma la grande maggioranza dei librai», obietta Rabiti, «non vede cosa accade nel business internazionale, quello che corre sopra le loro teste. Non possiamo escludere niente, però da quaggiù è difficile pronunciare sentenze». La storia di De Caro è anche melanconica autobiografia nazionale – denunciata per primo da Tomaso Montanari – dove il Ladro di libri viene messo a Guardia del tesoro dei Girolamini. Senza che in nessun piano della burocrazia statale qualcuno faccia partire l’allarme. E fa venire i brividi la fotografia del Gran Predatore che, al fianco di Dell’Utri e dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico, si aggira spavaldo nella piazza del libro antico come rappresentante del governo. Per i librai, De Caro diventa improvvisamente lo Stato. Ed è questo il capitolo più oscuro che Luzzatto ha avuto il merito di lumeggiare, «pur esposto a minacce da parte di figure istituzionali», racconta ora lo storico davanti alla tazzina di caffè.
La cosa che più amareggia i librai è che anche dalla cella d’un carcere De Caro possa continuare ad assestare i suoi colpi. E per tramite di uno studioso che s’è fidato di lui. Luzzatto non ci sta: «Io ho fatto migliaia di verifiche. Ma è sicuro che, nel momento in cui De Caro si è sentito affondare, ha voluto tirar giù insieme a lui un intero sistema». Una sorta di cupio dissolvi che ha finito per sommergere anche gli innocenti. Alcuni librai sono in attesa di giudizio, che arriverà alla fine del processo in corso a Napoli. Ma intanto l’intero mondo della bibliofilia è stato travolto dallo scandalo. L’ultima beffa dell’Impostore? Fino alla fine una storia italiana.