la Repubblica, 17 marzo 2019
Gli appalti senza codice
Per definire il codice degli appalti, il sottosegretario all’Economia Massimo Garavaglia arriva a scomodare il ragionier Ugo Fantozzi. «È una boiata pazzesca», dice. Quanto a boiate, però, è una bella gara davvero. E il governo gialloverde di Giuseppe Conte, per ora, non ha rivali. Che il nuovo codice degli appalti fosse un armamentario cervellotico pieno di clamorosi errori ( compresi, nella sua versione iniziale, quelli lessicali) era noto. Al punto che non pochi osservatori lo indicavano come principale responsabile della crisi degli appalti pubblici. Ma da questo a sbracare del tutto, ce ne passa. E non parliamo soltanto della decisione di sospendere l’efficacia del codice fino alla fine del prossimo anno, com’è stato annunciato nella vana speranza di ridare fiato al settore delle costruzioni che è tecnicamente in fallimento.
Per non smentirsi, il governo dei controsensi ne sta per sfornare un altro a testata multipla: e questo è forse il peggiore di tutti quelli visti finora, con l’eccezione dello sconcertante condono edilizio per l’isola di Ischia.
Dicevamo che il settore delle costruzioni ha l’acqua alla gola: 600 ( ma c’è chi sostiene siano almeno 700) cantieri fermi e 120 mila imprese polverizzate in dieci anni, come ha ricordato il nostro Roberto Rho. E qual è la risposta di questa politica? Semplice: innalziamo la soglia della procedura negoziata a 5 milioni. Questo almeno dicono le proposte che circolano in queste ore, nelle quali peraltro sarebbe anche previsto il massiccio ricorso ai commissari ad acta per sbloccare le opere incagliate. Dunque, se abbiamo capito bene, il governo che nutre un pregiudizio ideologico verso le opere pubbliche al punto da aver imposto a tappeto cervellotiche analisi costi- benefici grazie a cui si paralizzano le maggiori infrastrutture come la Torino- Lione, rendendosi però conto che il prodotto interno lordo sta precipitando decide di consegnare quasi tutti gli appalti alle procedure di emergenza.
Cancellando di fatto le gare normali, visto che il 95 per cento delle opere pubbliche in Italia ha un importo a base d’asta inferiore ai 5 milioni. E ritornando, con la riesumazione dei commissariamenti, all’epoca d’oro dell’Anas anni Ottanta o a quella ancor più sfavillante della Protezione civile. Quando per evitare le fastidiose pastoie burocratiche, anziché togliere la sabbia dagli ingranaggi, si preferiva usare le scorciatoie delle procedure d’urgenza. Si è visto con quali risultati.
Questo è il primo controsenso. Ma ce n’è anche un secondo ben più rilevante. Perché il governo che ha sbandierato come un grande successo morale l’approvazione della cosiddetta legge” spazzacorrotti”, è lo stesso governo che ora con il pretesto di rilanciare un’attività economica boccheggiante vorrebbe consentire di aggirare il 95 per cento delle normali gare d’appalto, incrementando di conseguenza i rischi di corruzione.Un segnale inquietante, del resto, già l’avevamo avuto nella legge di Stabilità con l’aumento da 40 mila a 150 mila euro del tetto al di sotto del quale è ora possibile stipulare contratti pubblici senza gara.
Del tutto inascoltato, in quel caso, l’allarme circa il possibile rischio di infiltrazioni criminali del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. Che però è da mesi, anche lui, nel mirino di questo assai singolare Nuovo che avanza.