Corriere della Sera, 17 marzo 2019
Intervista a Mara Venier
«Il problema è che, ad un certo punto, qualcuno pensa che tu debba essere rottamata, perché non sei più giovane: sei da far fuori. È successo anche a me, qualche anno fa». E invece Mara Venier, 68 anni, oggi non è soltanto «la signora della domenica», con picchi di 3 milioni e 188 mila spettatori a puntata, ma anche un piccolo fenomeno social, con un milione e mezzo di follower su Instagram. Per fare paragoni importanti, Julia Roberts ne ha 5 milioni, Susan Sarandon un milione e duecento. «E anche Susan, nella emancipatissima America, ha avuto i suoi problemi di carriera legati all’età: il problema delle donne è che ad un certo punto della carriera finiscono in un binario morto. Nel mio caso, però, la vecchia, l’hanno richiamata!».
Il suo storico camerino a Domenica In, la trasmissione che ha condotto per la prima volta nel 1992 e dove è tornata lo scorso anno, è un vivaio di peperoncini «perché con l’invidia non si scherza: come diceva Benedetto Croce, “non è vero, ma ci credo”. La sua domenica è tornata a fare la parte del leone. «Questa Domenica In è la rivincita della mia vita: fanno presto a umiliarci, a metterci all’angolo. Per questo il mio successo la dedico alle donne».
Quando l’hanno richiamata alla conduzione era spaventata?
«No, le cose che mi spaventano sono altre, come la corsa in ospedale dell’altra notte per la febbre del mio nipotino. La vera emozione è stata rientrare qua, in questo camerino: dal 1992 è lo sfondo dei miei cambi di vita e dei miei amori».
A chi ha pensato quando si sono accese le telecamere?
«Il primo pensiero è stato, come sempre, per mia madre che non c’è più. Mi sarebbe piaciuto che avesse potuto vedere il mio ritorno, era il suo sogno, me lo chiedeva sempre».
Eppure con La vita in diretta, dal 2010 al 2013, ha avuto un grande successo.
«Con Marco Liorni e Lamberto Sposini abbiamo fatto degli ascolti pazzeschi. I primi due anni, prima di ammalarsi di Alzheimer, mia madre mi seguiva e io subito dopo la trasmissione correvo a chiamarla. Il suo commento era sempre lo stesso: “Beo, beo... ma la domenega?”. Per lei esisteva solo la domenica!».
Nel frattempo è diventata una star social.
«Quando qualche anno fa venne in trasmissione Tiziano Ferro mi chiese un autografo e subito dopo mi disse che era per sua nonna. In quel momento mi sono resa conto che il mio pubblico era quello delle zie e delle nonne, che peraltro adoro. Attraverso Instagram ho preso tutta una parte che non avevo».
C’è la regia di qualcuno dietro ai social?
«C’è stata la spinta di Alessia Marcuzzi, che amo come una figlia. Mi ha chiesto se ero iscritta a Instagram, le ho detto che non sapevo cosa fosse. Lei mi ha risposto: “dobbiamo subito aprire il tuo profilo”. Nei quattro anni a Mediaset mi sono sentita libera di fare quello che mi pareva: anche per questo non voglio competere con la tv commerciale, devo solo dire grazie».
A proposito di età: cosa risponde allo scrittore francese Yann Moix che ha detto che non andrebbe mai a letto con una cinquantenne?
«Penso che questo signore sia un disturbato e che la sua dichiarazione manca di rispetto a tutte le donne. Per giunta dice una cosa non vera, perché io a 49 anni ho incontrato mio marito Nicola Carraro, l’amore della mia vita, un uomo pieno di fascino, miliardario, galante. Poteva averle tutte, eppure ha voluto me».
Come ha commentato suo marito il ritorno a Domenica In?
«Ha fatto di tutto per convincermi a dire no. Mi ha detto: “conoscendoti, so che ti rovini la vita; nel momento in cui dirai di sì per te esisterà solo quello”. E così è stato».
Perché non lo ha ascoltato?
«Quando me l’hanno offerto ci ho pensato una notte: Nicola era a Santo Domingo, ci siamo sentiti al telefono e mi ha detto: “Mara, mi raccomando, non farti incastrare”. Gli ho detto di stare tranquillo, ma poi ho fatto il contrario. Per me era una sfida personale e in conferenza stampa l’ho messo in chiaro: la responsabilità della trasmissione sarebbe stata tutta mia».
Se fosse andata male?
«Non avrebbe cambiato la mia vita: volevo dare al pubblico tre ore di intrattenimento classico, una domenica di buon livello. Per me l’intervista alla sorella di Stefano Cucchi è stato un momento di grande intensità».
Il successo non le interessava più di tanto?
«Fuori dalla televisione ho una vita molto normale ed estranea a questi meccanismi. Non pensavo mai che mi accadesse tutto questo: il mio sogno era aprire una profumeria».
Da che famiglia proviene?
«Modesta e molto unita: mio padre faceva il ferroviere, mia mamma la sarta. Ero un maschiaccio, il capobanda dei miei amici».
Un ricordo della sua infanzia.
«A sei anni, con mio papà, che ho adorato. Suonava la fisarmonica e il sabato si fermava con gli amici alla «Baracheta», un bar: offriva le ombrete e finiva i soldi. Mia mamma a una certa ora mi diceva: “papà non è ancora tornato, vai a prenderlo”. Mia sorella si vergognava, io mai: lo trovavo seduto con la sua fisarmonica e siccome barcollava ce ne tornavamo spingendo la bicicletta. Lo tenevo con la manina».
A 17 anni è rimasta incinta. Come la prese la sua famiglia?
«Non mi hanno mai giudicato, piuttosto era il prete che non voleva sposarmi. Ma mio marito (Francesco Ferracini, ndr) voleva tentare la carriera di attore e la sera stessa delle nozze è partito per Roma. Così sono rimasta a vivere a casa dei miei, tre palazzi delle Ferrovie con sessanta famiglie ciascuno: quando uscivo tutti si affacciavano. Ero uno scandalo».
I momenti difficili?
«Quando ho scoperto di essere in attesa di mio figlio Paolo, papà era ricoverato a Mestre e non sapevo come dirglielo: ero già separata e avevo un nuovo compagno. “Papà mi vergogno, ma devo dirti una cosa, sono incinta”. Lui mi ha sorriso : “Mara, questo è un maschio”».
Che voto si dà come madre?
«Oggi 10, perché ho avuto tanto coraggio, pur commettendo i miei errori. Ma ho lavorato sempre per crescerli: appena è nata Elisabetta ho cominciato a fare l’indossatrice per i rappresentanti. Andavamo in giro con un furgone, monta e smonta gli stand, morivo di freddo, in costume d’inverno. Poi mi è capitato Osvaldo, un rappresentante di Roma che mentre macinavamo chilometri cantava La società dei magnaccioni di Lando Fiorini e mi faceva immaginare una città strepitosa: mi sono detta: “mio marito vive lì, perché non vado?”».
Il suo «sbarco» a Roma?
«Con un cappottino cucito da mia madre a quadratini bianchi e neri: a Mestre faceva un freddo pazzesco, mentre a Roma era primavera. Mi è venuto a prendere mio marito con quattro amici, uno di loro era Roberto Capucci, lo stilista che poi ho ospitato in trasmissione. È stato lui, intenerito, a trovarmi il primo lavoro: un servizio per Harper’s Bazaar pagato 500 mila lire. Da lì ho affittato una casa sulla Aurelia e la mia vita è ripartita».
Si sente più romana o veneziana?
«Purtroppo a Venezia non mi sento più a casa: volevano che facessi il sindaco, ma ho rifiutato, bisogna essere persone serie e accettare di fare solo quello di cui si è capaci. Anche se secondo i sondaggi sarei stata eletta».
Il dolore più grande?
«La perdita di mia madre. Soffriva di Alzheimer, il giorno in cui sono andata a trovarla in clinica e lei mi ha detto con gli occhi persi “buongiorno signora” sono morta anche io».
L’amore più grande?
«Mio marito Nicola: è entrato nella mia vita in età adulta e non ha mai voluto cambiarmi. Ma sono stata pazza di Jerry Calà e con Arbore abbiamo diviso 12 anni importanti. Se Renzo chiama io corro: tra di noi c’è ancora amore, quello delle persone che si vogliono bene».
Il primo incontro con suo marito?
«A una cena organizzata dalla mia migliore amica Melania Rizzoli: Nicola era appena rientrato dall’estero e c’erano molte donne interessate a conoscerlo. Quando l’ho visto entrare al ristorante ho pensato: “Oddio che cumenda milanese, non c’entra proprio niente con me!”.
E invece...
«E invece mentre le altre convitate cercavano di far colpo, noi ci studiavamo. “Io la conosco, so che lei fa un’ottima pasta e fagioli”, mi disse. Glielo aveva detto qualche anno prima Jerry Calà, di cui lui aveva prodotto un film. A quel punto mi era anche antipatico, pensavo mi dicesse “la conosco, lei è la signora della domenica”, invece la pasta e fagioli... È stato un lento corteggiamento».
Il successo ha innescato mai competizione con i suoi compagni?
«Macché: quando stavo con Jerry ero una poveraccia. Renzo invece mi ha fatto scuola: era orgoglioso dei miei risultati. Anche se è vero che quando hai successo cominci a lavorare tanto e rischi, come coppia, di perderti: col senno di poi lavorerei di meno».
Condurrebbe Sanremo?
«Ho fatto un Dopo Festival con Renato Zero e Roberto D’Agostino, ci siamo divertiti tanto. Il Festival invece mi creerebbe tensione, la conduzione canonica in piedi non è per me. Io sto bene seduta, accogliente, seduta sul mio divano».