Corriere della Sera, 17 marzo 2019
Sulla Cina l’Italia non deve chiedere il permesso Usa
Se vuole firmare il Memorandum italo-cinese per la nuova Via della Seta, il governo italiano non può ignorare le osservazioni della Commissione di Bruxelles e del Parlamento di Strasburgo. Per almeno due ragioni. In primo luogo, perché esistono ormai in Europa interessi comuni di cui l’Italia deve tenere conto. In secondo luogo perché, come è stato ricordato negli scorsi giorni, la politica commerciale di un grande mercato unico, come quello della Ue, deve essere gestita collegialmente; e questa responsabilità è stata conferita alla Commissione. Il Memorandum non è formalmente un trattato, ma contiene principi e criteri che devono essere compatibili con la politica commerciale della Unione Europea.
Non credo invece che le stesse considerazioni debbano applicarsi alle pressioni che gli Stati Uniti stanno esercitando sull’Italia per condizionare i suoi rapporti commerciali con la Cina. L’America di Trump sta combattendo una guerra doganale con Pechino e i suoi obiettivi strategici non sono esclusivamente economici. Durante la recente conferenza annuale di Monaco sulla sicurezza globale e la lotta al terrorismo, il vice presidente americano Mike Pence ha rivendicato il diritto del suo Paese alla leadership, ne ha vantato la forza militare e ha aggiunto che gli Stati Uniti non possono garantire la sicurezza dell’Occidente se gli Alleati dipendono dall’Oriente acquistando missili russi o sistemi cinesi per le telecomunicazioni come il 5G di Huawei. In altre circostanze gli uomini politici americani non hanno nascosto che la Cina è il nemico di domani e che occorre fermarne l’ascesa. Più recentemente l’ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino ha inviato al governo tedesco una lettera in cui scrive che l’acquisto di informatica cinese potrebbe costringere gli Stati Uniti a non più condividere con la Germania le informazioni raccolte dai loro servizi di intelligence. I tedeschi potrebbero replicare che questi stessi servizi ascoltavano qualche anno fa le conversazioni di Angela Merkel sul suo cellulare. Non è la prima volta che gli Stati Uniti chiedono insistentemente all’Europa di rinunciare ai suoi interessi commerciali. Quando nel 1984, durante la presidenza di Ronald Reagan, banche tedesche, francesi e giapponesi finanziarono la costruzione di un gasdotto transiberiano che avrebbe portato il gas sovietico in Europa, Washington fece pressioni perché i destinatari, fra cui l’Italia, non partecipassero alla operazione e minacciarono un embargo sulla esportazione di materiali e tecnologia americani. Gli europei decisero di rispettare gli accordi che avevano firmato con Gazprom e non cedettero alle pressioni americane. Qualche anno dopo Reagan cambiò idea e fece un investimento sul futuro dell’Urss. Noi, da questa parte dell’Atlantico, abbiamo fatto un investimento sul futuro della Cina e, con tutte le cautele del caso, non vorremmo aspettare il permesso degli Stati Uniti per continuare a coltivarlo.