La Stampa, 16 marzo 2019
Intervista ad Adriano Giannini
Lontano da tutto, seguendo quel desiderio di vita altrove che, insieme all’indole introversa, definisce al meglio la sua personalità: «Per me stesso - dice Adriano Giannini - sogno un avvenire bucolico. Rispetto alla modernità, al cemento, alle macchine, provo una certa indolenza, una voglia di fuggire, alla ricerca di un altro modo di vivere». Magari anche di un luogo dove, ad anni di distanza dall’esordio, non si ritrovi a dover ancora rispondere alle domande sul padre Giancarlo e sulla condizione di figlio d’arte: «All’inizio, su questo argomento, ero molto più “incazzoso” e fumantino, rispondevo male e me la prendevo, anche perché mio padre non lo vedevo spesso, i miei si erano appena separati, lui lavorava molto all’estero, e mi dava fastidio doverne parlare in quei termini».
Immagino che ora le cose siano cambiate, giusto?
«Sì, quelle richieste me le hanno fatte tante di quelle volte che oggi non ci faccio nemmeno caso. E poi, dopo il primo film, quel confronto non l’ho quasi più avvertito».
L’altro tormentone che la riguarda si condensa nella parola «sciupafemmine». Spesso i registi le affidano quel ruolo, quanto ci si ritrova?
«Negli ultimi tempi è successo di meno, e comunque no, per carità, non mi ci ritrovo affatto, non sono mai stato così e, se mi ci hanno visto, è per via della fisicità, ma io, tendenzialmente, sarei un timido».
Sta per iniziare a recitare nel film di Nanni MorettiTre piani, che ruolo interpreterà?
«Non posso dire praticamente nulla, penso che, se lo facessi, Moretti potrebbe anche materializzarsi qui adesso per bloccarmi. Inizio lunedì, a Roma, sarò impegnato più o meno fino a giugno, sono molto contento, è una storia bellissima, e mi fa piacere essere parte di questo gruppo di lavoro».
Nessuna preoccupazione?
«No, con Moretti ci conosciamo da tanti anni, anche se non abbiamo mai lavorato insieme. Negli incontri avuti finora mi è parso una persona molto attenta, e anche divertente».
Ha recitato nel nuovo film di Francesca ArchibugiVivere, di cui si dice che potrebbe andare a Cannes o a Venezia. Che ruolo ha?
«Sono un giornalista che vive con disagio il suo stare al mondo, uno che, rispetto agli eventi, ha poca azione e reazione. Un uomo perso, annullato, che si attacca alle donne per disperazione, nel tentativo di tenere accesa una fiammella di vita. Forse, tra quelli interpretati finora, è il mio personaggio più complicato».
E con l’Archibugi come è andata?
«Bene, è davvero accogliente e protettiva, simpatica, con una grande consapevolezza della materia che tratta. Si dice che tutti i registi amino i loro attori, non è sempre vero, ma lo è nel suo caso, a lei ci si può affidare».
E’ stato anche dall’altra parte della barricata, come operatore, e poi come regista di corti. Che cosa ha imparato?
«Quello dell’operatore è un lavoro molto complesso e delicato, se fai un errore si vede subito, e bisogna girare di nuovo».
Cosa che a lei una volta è capitata, le va di ricordare l’episodio?
«Sul set del Talento di Mr Ripley, giravamo di notte, nel centro di Roma, e gli attori erano Cate Blanchett, Matt Damon, Jude Law, Gwyneth Paltrow. Per una ragione tecnica, riguardante una lente che si era staccata, la ripresa non è venuta, abbiamo dovuto rifarla. E non eravamo esattamente quattro gatti, non mi faccia ricordare, è ancora uno dei miei incubi ricorrenti».
Ha scelto di fare l’attore, quindi di essere in prima linea, sotto lo sguardo di tutti, però di lei, fuori dal set, si sa molto poco. Come protegge la sua vita privata?
«Ci sono varie tipologie di attori, io, per carattere sono riservato, non mi piace apparire, in questo sono simile a mio padre. Quando sono libero da impegni, preferisco stare con gli amici, con le persone a cui voglio bene, con i cani al parco, piuttosto che partecipare alle trasmissioni tv. Svelarsi troppo leva mistero, più ti fai vedere per come sei davvero e meno sarai credibile nei ruoli che interpreti».
InGauguin a Tahiti - Il Paradiso perdutoè la voce narrante, una sorta di guida che accompagna lo spettatore. Come descriverebbe l’esperienza?
«Mi sono sentito una specie di Alberto Angela, oltre a raccontare, interpreto anche delle sequenze introduttive, così, per la prima volta, mi sono ritrovato scoperto, a tu per tu con la macchina da presa, senza lo scudo del personaggio che, in genere, protegge gli attori. Ho provato un senso di vulnerabilità. E un grande fascino verso la figura di Gauguin, il suo talento, e la passione con cui l’ha nutrito».
E dire che lei ha cominciato nel modo più difficile, interpretando il remake diTravolti da un insolito destino..., in coppia con Madonna, nei panni che erano stati di suo padre. Quella volta il coraggio non le mancò. Come mai?
«Diciamo che la sorte non mi ha concesso scorciatoie, ho fatto quel film con semplice incoscienza, sapendo che era meglio non pensare a quello che andavo a fare. E’ stato anche un modo per risolvere edipicamente tutto il problema di mio padre».
E con Madonna è rimasto in contatto?
«Per un certo periodo sì, poi ci siamo persi di vista».
Per Adriano Giannini, felicità è?
«Felicità è armonia nella quiete, avere il tempo giusto da dedicare a se stessi e ai propri affetti. Prima ero più tempestoso, adesso, anche se posso ancora sorprendere e sorprendermi, lo sono di meno».