la Repubblica, 16 marzo 2019
Gli orrori di Michael Jackson
Non ci saranno celebrazioni a giugno per il decennale della morte di Michael Jackson. Leaving Neverland, il controverso documentario di quattro ore girato dal regista inglese Dan Reed con le testimonianze di Wade Robson e James Safechuck, che raccontano come Jackson avrebbe abusato di loro da quando avevano sette e nove anni fino all’adolescenza, ha di nuovo gettato ombre inquietanti sulla personalità della pop star, per due volte assolta dai tribunali americani dall’accusa di abuso sui minori. Il film è talmente rigoroso, coerente e credibile che per la prima volta molti operatori musicali hanno cominciato a prendere le distanze da re del pop; alcune radio hanno messo al bando le sue canzoni – mai successo neanche all’epoca del pubblico ammanettamento.
Dopo le standing ovation al Sundance, Leaving Neverland sarà trasmesso in due puntate sul canale Nove il 19 e 20 marzo, proprio nel momento in cui il cold case ha riacceso il dibattito: psichiatri di fama si affannano a redigere relazioni sulla credibilità delle confessioni dei ragazzi e schiere di fan scendono in strada per manifestare in difesa della memoria (anche mamme con bambini; ancora oggi, dopo tanti scandali e dibattimenti, ci sono genitori che sarebbero disposti a far “giocare” i loro piccoli in camera da letto con Jackson?); in Francia tre gruppi organizzati di fan hanno intentato causa per vilipendio; Louis Vitton ha bloccato una collezione ispirata a Thriller. Nel giugno del 2009, in attesa del funerale di Jackson, che fu più volte posticipato dagli investigatori, riuscii con uno stratagemma a entrare a Neverland, il giardino di Kensington che custodiva i segreti del Peter Pan del pop. Ricordo ancora il disagio di trovarmi dentro un maniero che sembrava una torta al cioccolato andata a male, troppo carico di riferimenti favolistici ma anche zeppo di porte con quattro/cinque serrature (alcune divelte). “Una trappola per bambini!” fu il primo pensiero ( Viaggio a Neverland, il ranch del mito fu pubblicato da Repubblica il 5 luglio, attirando le ire del fan club italiano). Il fatto che il bubbone sia esploso solo dieci anni dopo è la dimostrazione dell’enorme potere, economico e di seduzione, che Michael Jackson ha usato (anche post mortem) come un’arma formidabile e micidiale. «Non sono un fan, non sapevo nulla di lui né ascoltavo le sue canzoni prima di Leaving Neverland, ma ho realizzato molti documentari sulla pedofilia», esordisce il regista Dan Reed, «dunque ho gli strumenti per valutare se Wade e James siano bugiardi patologici e opportunisti. Dai racconti è evidente che avevano un attaccamento a Jackson che per anni hanno chiamato “amore” (con James il cantante inscenò anche una specie di matrimonio con tanto di anello), non hanno mai pensato che stesse mettendo in atto un piano criminale. L’artista aveva circuito i ragazzi e le famiglie mascherando il suo istinto predatorio con sentimenti di rispetto e amicizia. Il rapporto con il loro idolo era un segreto che custodivano gelosamente.
Probabilmente Wade, oggi 36 anni, non l’avrebbe mai tradito se non avesse avuto un figlio. A quel punto tutto è esploso come una bomba. La situazione è precipitata quando si è reso conto di aver salvato un criminale dalla galera con le testimonianze del 1995 e del 2005 (quando, sentito dalla polizia di Los Angeles, negò di aver subito molestie, ndr). Fino a quel momento l’idea di “tradire l’uomo che amava” non l’aveva mai sfiorato».
Safechuck, che oggi ha 41 anni, ha fatto un percorso diverso, si è reso conto prima di essere stato vittima di un rapporto malato, disfunzionale, che stava distruggendo la sua vita da adulto e il suo matrimonio. «Confessò tutto a sua madre e, nonostante l’insistenza di Jackson, si rifiutò di testimoniare una seconda volta. Seguendo gli eventi in tv, cominciò a colpevolizzarsi per aver mentito al primo processo e avergli permesso di reiterare il danno», spiega Reed. «Michael Jackson era un predatore seriale e un pedofilo. Sono convinto – emerge chiaramente dai racconti dei ragazzi, che provarono una cocente gelosia quando compresero di non essere più “i preferiti” – che abbia circuito molte, molte famiglie e abusato di altrettanti bambini. L’ho capito da come sono andate le cose con Wade e James: non ha avuto esitazioni, sicuro di sé e della sua tattica; sempre lo stesso identico copione, era un espertissimo predatore pedofilo già negli anni Ottanta. Il fratello Jermaine continua a ripetere che Michael era un bravo ragazzo, è comprensibile che i Jackson (che al momento non hanno intrapreso azioni giudiziarie,ndr) difendano il loro “brand"». Come accadde all’epoca dei processi e delle molte biografie non autorizzate che rivelarono dettagli inquietanti della vita a Neverland e della processione incessante di famigliole, i fan continuano a sostenere l’innocenza dell’artista.
Ma contemporaneamente – e questo è il segno che Leaving Neverland è riuscito dove avvocati e biografi hanno fallito – si è scatenato un rifiuto inconsueto, come se all’improvviso molti non siano più capaci di separare l’uomo dall’artista, la miseria dalla gloria. «La musica di Michael Jackson ha avuto un impatto enorme sulla cultura dell’ultimo mezzo secolo. Guardando il film ci si forma un’opinione, a quel punto ognuno agisca secondo coscienza», commenta Reed. Se spuntassero nuove evidenze sul caso, come sembra inevitabile, prenderebbe in considerazione l’idea di un sequel? «Se Jordan Chandler, l’attore Macaulay Culkin e Gavin Arvizo (i tre bambini che ebbero un ruolo chiave nei processi e, pur avendo “dormito” a Neverland, negarono qualsiasi comportamento inappropriato, ndr) si rivolgessero a me per chiarire i dettagli della loro “amicizia” con Michael Jackson, certo, lo farei». È l’inizio di un #MeToo sull’abuso dei minori. «Lo spero!».