la Repubblica, 16 marzo 2019
Storie di spie e di veleni
Fu Lenin, il padre della Rivoluzione, a creare nel lontano 1921 il laboratorio dei veleni. Allora lo chiamavano “Gabinetto speciale”. L’obiettivo era trovare veleni che non lasciassero tracce. La morte doveva sembrare naturale. Ribattezzato sotto Stalin “Kamera”, che in russo vuol dire semplicemente “stanza”, il laboratorio prospera sotto la direzione di Grigorij Majranovski, soprannominato “Dottor Morte”. È lui a testare le pozioni o i gas letali usati dalle unità killer dei servizi, in codice “smersh”, per sbarazzarsi dei “nemici del popolo” senza sollevare sospetti.
Molte vittime si trovano all’estero, ma ciò non impedisce agli uomini del Kgb di raggiungerle. Negli Anni ’20 e ’30, è in particolare la Francia, dove gran parte dell’intellighenzia russa si è rifugiata, il teatro di molte operazioni. In Belgio, invece, nel 1928, un agente entra nelle cucine dell’ultimo comandante in capo dell’Armata Bianca, Pjotr Wrangel, fingendo di essere il fratello del maggiordomo. Dopo pranzo, il generale cade in una terribile agonia durata 38 giorni. Col tempo i metodi e le sostanze diventano sempre più sofisticati. Nel 1978 un passante sfiora Georgij Markov con un ombrello capace d’iniettare piccoli proiettili contenenti ricina. Lo scrittore dissidente bulgaro si ammala la sera stessa e muore dopo quattro giorni di atroci sofferenze. Con il crollo dell’Urss non cambia poi molto. La lista di avversari politici o uomini d’affari morti in circostanze sospette è lunga: dal banchiere Ivan Kivelidi al giornalista liberale Jurij Shchekochikhin. I veleni spesso nascono da elementi altamente radioattivi. Il tallio usato a Francoforte contro l’ex agente del Kgb Nikolaj Khokhlov. O la diossina adoperata per avvelenare nel settembre 2004 l’ex presidente ucraino Viktor Yushenko, rimasto trasfigurato al volto. Fino all’assassinio nel novembre 2006 dell’ex spia russa in esilio Aleksandr Litvinenko. Viene avvelenato dal polonio 210 versato nel suo tè in un hotel a Mayfair. La colonia russa sul Tamigi ha preso il posto di Parigi.
E ogni volta torna la stessa domanda: che ruolo hanno svolto i servizi russi? Fornitori o esecutori? Un anno fa il caso più eclatante. Serghej Skripal, ex spia doppiogiochista, viene trovato insieme alla figlia Julija privo di coscienza su una panchina di Salisbury. “Novichok”, il “novellino”, è la sostanza usata. Un potente agente nervino sviluppato in un laboratorio segreto dell’ex Urss. Probabilmente una struttura simile alla “Kamera” esiste ancora: per trasformare il cobalto in un veleno occorrono centri molto sofisticati. Spesso si tratta di laboratori legati a programmi per lo sviluppo di armi nucleari. Da anni – forse non è un caso – si parla di una bomba al cobalto, “l’ordigno dell’apocalisse” secondo il fisico Leó Szilárd, capace di cancellare la vita sulla Terra. Al momento il cobalto sembrerebbe trovarsi solo nel siluro “Status-6”, una sorta di drone subacqueo. Un’arma russa.