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 2019  marzo 16 Sabato calendario

Intervista a Roberto Ciufoli

Nei momenti di sconforto, fastidio o semplice incazzatura, la soluzione è una: “Prendo la borsa, vado sul Tevere, mi cambio e scendo in acqua”. In acqua? “Da qualche tempo scarico tutto con il canottaggio, ogni tanto mi ribalto pure con la canoa, e dalla prospettiva più bassa ho visto di tutto, ogni tipo di animale, mai un topo”. Impossibile. “È vero, e da lì Roma è bellissima”. Non scherza Roberto Ciufoli, questa volta è serio; serio come i motivi professionali che lo portano a remare, remare e ancora remare: “La questione è complicata: nel cinema lavorano sempre gli stessi, il solito gruppetto, oramai neanche ti chiamano per un provino; mentre nel mondo del teatro la prassi è quella di non pagare gli artisti. E per molti la vita è diventata impossibile”.
Non c’è spazio.
Sul teatro non c’è nemmeno molto interesse: in platea non vedo mai un attore cinematografico, un regista, sono pochi i responsabili dei casting, a meno che sul palco non ci sia uno degli attuali big, uno del cerchio magico, e allora arrivano in massa.
Gli incassi del cinema denunciano una certa crisi.
Per forza, quali sono le novità? Lo dico da spettatore.
Niente provini, per lei.
Mi chiamano difficilmente, è capitano per la fiction con Marco Giallini su Rocco Schiavone. Ed è andato bene. Un’altra volta, Andrea Preti, giovane produttore, mi ha coinvolto nel film Un nemico che ti vuole bene dopo avermi visto a teatro.
Stupore.
Una meraviglia.
Economicamente si può vivere con il “palco”?
Questo è il punto: oggi si può sopravvivere.
Mentre una volta…
Uno spettacolo poteva durare due o tre stagioni, da ottobre a maggio, e qualche volta si aggiungevano le date estive; negli ultimi anni per chiuderne una devi lavorare su due o tre produzioni.
Sopravvive, quindi.
Premessa: la questione non è personale, ma generale. Anzi, ho una buona paga e soddisfazioni: potrei viverci bene.
Arriva il “ma”.
Non pagano, e lì scatta la sopravvivenza; c’è un teatro che mi deve dei soldi da anni, e sono costretto a vestire il ruolo del “recupero crediti”: chiamo e sollecito, chiamo di nuovo e sollecito ulteriormente.
Niente.
Macché, mi dicono “non c’è un euro”, poi però scopro che il teatro è sempre pieno e se ne vantano pure. Qualcosa non torna…
È benestante sulla carta.
Nell’immaginario ricopriamo il ruolo di chi solleva la quotidianità altrui, di chi porta lo spettatore su lidi delle mente più piacevoli della realtà.
Invece?
Nel mio mondo c’è una fame e una disperazione che ti avvolgono; a prescindere mi sento fortunato. Anzi, lo sono.
Cosa lamenta?
La fine del sistema, non vogliamo capire che questo è un lavoro e, in quanto tale, va pagato, altrimenti diventa un hobby.
I produttori ci provano.
Vorrei avere una lavagna dei buoni e dei cattivi, un TripAdvisor per avvisare i colleghi ed evitare fregature.
Tra attori certe situazioni già si conoscono.
È vero, ieri mi ha chiamato un collega e mi ha parlato di un progetto, quando ho scoperto chi lo produce non ho resistito: “Ma sei matto? Quello è una fregatura”.
Risposta?
Occhio preoccupato: “Non vorrei passare per piantagrane”.
Sotto schiaffo.
La sensazione è una: siamo tutti seduti al tavolo della roulette e stiamo perdendo, ma nessuno ha il coraggio di alzarsi.
Quando non pagano, quali sono le motivazioni dei produttori?
Che non gli arrivano i soldi dai teatri, mentre i teatri lamentano i mancati finanziamenti del ministero (Ci pensa un attimo). Se penso a quando abbiamo rinunciato alla televisione per una tournée…
Ai tempi della “Premiata Ditta”.
Andavamo così forte, sold out in tutta Italia, da poterci permettere un “no” alla Tv.
In parte vivrà ancora dei guadagni di quel tempo…
Seeee! Sono un caso economico particolare: ho sbagliato investimenti, ho sperperato e poi ho concluso con una delle cazzate più grandi.
Sveliamola. 
Matrimonio all’americana e divorzio all’italiana, un cretino totale. Comunque mi sono divertito tanto.
Bene.
Un po’ alla George Best: “Ho speso in donne e belle macchine, il resto l’ho sprecato”.
Quanto è durata?
Abbastanza, credevo che il lavoro non si sarebbe mai fermato.
Torniamo all’oggi.
Non siamo una categoria unita, accettiamo la legge del ribasso, se uno rinuncia c’è la fila di chi vuole sostituirlo; e poi non veniamo considerati “utili” alla comunità, bensì superflui: attualmente il modello dominante è quello di calciatori e tronisti.
Ha partecipato al reality “La talpa”.
Il meccanismo è puntare sul peggio di chi partecipa, capire chi e se scopava: il montaggio dipendeva solo da quello; gli aspetti positivi, la solidarietà, la complicità non li mostravano.
Altri parametri.
Sotto ogni punto di vista, questa realtà non funziona. Per questo spesso mi estraneo e vado in canoa, lì la prospettiva è migliore.