Libero, 16 marzo 2019
I parlamentari si comportano come scimmie
Si siedono in alto, come su un trono, per dominare le masse, alzano un braccio perché i sudditi possano baciar loro l’ascella, si agitano scomposti e rifiutano il cibo quando perdono la leadership. È impossibile dire se gli esseri che compiono queste azioni sono animali o uomini. Il motivo è che le fanno entrambi: lo fanno le scimmie – diversi studi ormai hanno spiegato quanto sfruttino il linguaggio del corpo – lo facciamo noi bipedi glabri. I politici bassi tentano di sembrare più alti aggiungendo un pezzo di tacco alle scarpe, il rituale orrendo dell’ascella venne inventato da Saddam Hussein (dall’ascella partono scariche di feromoni, sostanze prodotte dalle ghiandole esocrine per inviare segnali a individui della stessa specie); infine, Richard Nixon, quando si rese conto che a seguito dello scandalo Watergate avrebbe dovuto dimettersi, cadde in ginocchio, scoppiò in lacrime e si mise a battere i pugni sul tappeto, disperato: «Che cosa ho fatto?». Lo raccontano Bob Woodward e Carl Bernstein nel loro libro The Final Days: a Henry Kissinger, allora segretario di Stato, toccò di consolare il presidente come un bambino, lo abbracciò e gli enumerò i successi della sua presidenza finché l’uomo non si calmò. Se ne deduce che pure gli animali, come gli uomini, fanno politica; per cui, qualcosa su come ci comportiamo noi – non necessariamente il peggio – e sulle nostre ordinatissime società possiamo impararlo da loro. Lo raccontava pochi giorni fa, sul quotidiano britannico Guardian, Frans de Waal, etologo e primatologo olandese di fama mondiale (è appena uscito il suo ultimo volume, Mama’s Last Hug: Animal Emotions and What They Teach Us About Ourselves, L’ultimo abbraccio della mamma: le emozioni degli animali e che cosa ci insegnano di noi): una tesi che gli ronzava in testa da anni, dice lui, gli è stata confermata da due episodi recenti. Nel luglio 2017, quando Sean Spicer, allora segretario della Casa Bianca, si nascose tra i cespugli per evitare le domande dei giornalisti (se lo sappiamo, ovviamente, è perché l’escamotage non servì); pochi mesi prima, James Comey, ex direttore dell’Fbi, aveva indossato un abito tinta unita blu in una stanza completamente blu: si piazzò in fondo alla sala, vicino alle tende. Sperava di mimetizzarsi e di non attirare l’attenzione del presidente mentre stava indagando sui rapporti tra il tycoon e la Russia. Anche in questo caso la tattica fallì: il 9 maggio, Trump lo sollevò dall’incarico.
DA ARISTOTELE
Aristotele ha etichettato la nostra specie come «politikon zoon», animale politico, un concetto che va ben oltre l’animale sociale che per natura tende ad aggregarsi ad altri individui: quello lo fanno pure le api, o le gru. La vita comunitaria dell’uomo, secondo il filosofo antico, ha un di più nella razionalità e nella capacità di distinguere il male dal bene. Vero, dice de Waal, «ma potrebbe aver trascurato il lato fortemente emotivo della politica umana». Ovvero, spiega l’etologo, «i fatti contano molto meno di quanto pensiamo. La politica riguarda le paure, le speranze, il carattere dei leader e i sentimenti che evocano». Quindi, proprio come la maggior parte dei primati, siamo una specie gerarchica e, che si tratti di scimpanzé o di persone, vale quel che diceva Kissinger: il potere è il massimo afrodisiaco. Viene sempre custodito gelosamente; quando si corre il rischio di perderlo o, peggio, se lo si è già perso, si abbandona ogni inibizione a costo di difenderlo o recuperarlo. De Waal racconta di un caso che gli capitò nel 1980: al Burgers’ Zoo in Olanda, uno scimpanzé maschio, Luit, da poco diventato capobranco, era stato massacrato dai suoi simili. «Si muoveva ancora, ma aveva perso enormi quantità di sangue», racconta de Waal, «aveva perso un po’ di dita delle mani e dei piedi». Durante l’operazione, mentre cucivano le ferite, si accorsero che non aveva più i testicoli. Che cos’era successo? Luit aveva litigato con due maschi ai quali non andava a genio la sua ascesa: era riuscito a diventare il maschio alpha proprio perché i quei suoi antagonisti avevano litigato; una volta rotta la loro coalizione, per Luit era stato facile arrivare al potere. I due, però, ristabilita l’alleanza, decisero di agire e di liberarsi del capo. «Migliore è il leader», spiega l’etologo, «più a lungo durerà il suo regno. Un maschio che rimane al vertice terrorizzando tutti gli altri regna solo per un paio d’anni e poi finisce come Benito Mussolini». «Con un leader prepotente», prosegue, «il gruppo non vede l’ora che arrivi uno sfidante». Ma i capi scimmia non se la passano bene nemmeno mentre regnano: secondo i ricercatori che studiano i babbuini nelle pianure del Kenya, il maschio più in alto nella gerarchia è costantemente alla ricerca di segnali di insubordinazione che potrebbero spodestarlo.
LA RABBIA
La prima emozione animale a essere studiata, negli anni ’60, è stata l’aggressività, conseguenza della rabbia. Le manifestazioni corporee sono le stesse in tutte le specie: dai suoni minacciosi (grugniti, ruggiti, ringhi), al gonfiarsi per sembrare più grossi, inarcare la schiena, allargare le ali, gonfiare le piume, fino a esibire le proprie armi, che siano artigli o denti. Noi umani solleviamo i pugni e spingiamo il petto in fuori. Durante la pubertà la voce degli uomini diventa più profonda perché appaiano grandi e forti. Siamo diversi dalle bestie? Macché. Non solo ci arrabbiamo nello stesso modo, ma anche per gli stessi motivi: un obiettivo fallito, la brama di ottenere qualcosa, qualcuno che minaccia il nostro territorio. Automobili e smartphone non ci hanno reso diversi abbastanza.