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 2019  marzo 15 Venerdì calendario

A Baricco il web non piace più. Intervista

Impigliati nella rete? Schiavizzati dalle mail? «Non perdiamo tempo a discutere se il mondo che abbiamo generato è buono o cattivo. Abbiamo bisogno di tutto il nostro tempo per correggerlo e migliorarlo». Alessandro Baricco getta la palla in avanti, prova a smontare le narrazioni catastrofiste sulla pervasività del web: «Stiamo parlando di un sistema complesso. Stabilire un meccanismo di causa ed effetto è semplicistico».
Su Repubblica di ieri Silvia Ronchey riportava il pensiero di James Hillman: «Le mail ci rubano l’anima». È d’accordo?
«È una sciocchezza che non saprei come commentare».
Non teme che la quotidiana tempesta di mail ci rovini la vita?
«In generale si può sempre dire che gli strumenti a nostra disposizione nelle attività quotidiane possono renderci peggiori. Ma questo è sempre stato vero. Non mi pare una novità. Vale per il web ma per tante altre cose».
Tim Berners-Lee, fondatore del web, sembra pentito della fine che ha fatto la sua creatura. Anche lui sbaglia?
«Sbaglia chi attribuisce alle sue parole il significato di un pentimento. Perché non è così. Certo, se si fosse pentito, lo storytelling che ne sarebbe scaturito sarebbe stato più avvincente. Diciamolo: bellissimo. Il grande inventore che piange sul latte versato. Invece non è così. Da qualche tempo Berners-Lee ci mette sull’avviso. Ci dice: “Attenti, quello che abbiamo inventato ha raggiunto un grado dicomplessità che non riusciamo a governare”. Una tesi diversa, che guarda in avanti. Certo, come narrazione non è un granché».
Dunque chi ha inventato il web non avrebbe nulla di cui pentirsi?
«È la rappresentazione che non funziona. Sarebbe come dire che chi ha inventato l’automobile si pentirebbe se oggi potesse vedere i parcheggi in terza fila, l’inquinamento delle città e le code in tangenziale. Non credo che si pentirebbe affatto. Direbbe che sono necessari accorgimenti per mettere fine a questi disagi. Così Berners-Lee dice che dobbiamo trovare le soluzioni tecniche per raddrizzare i difetti del web. Fa come i padri che nelle difficoltà dicono ai figli: “È un momentaccio ma sono ottimista, vedrai che ce la faremo, la rimettiamo a posto”».
Lei quali strategie suggerirebbe per "rimettere a posto" i difetti del web?
«Io non ho naturalmente suggerimenti tecnici. Ma ho alcune proposte. Una mi è chiarissima. Uno dei tratti più evidenti del web è quello di poter dare la possibilità di parola a un numero enorme di persone rompendo il privilegio secolare dei gruppi ristretti che, fino ad oggi, dominavano il discorso pubblico. L’apertura è stata dirompente. Noi non abbiamo fatto il necessario per seguirla sul piano dell’educazione e della formazione. La scuola italiana è rimasta identica a quella del 1991, quando la rete non c’era. Abbiamo spalancato tutte le porte e ci siamo comportati che se nulla fosse accaduto».
Questo ha cambiato anche i giochi della politica nel mondo?
«Dobbiamo essere chiari: la crisi ci sarebbe stata anche se non ci fosse stato il game. Il game è stato un acceleratore ma i due tifoni che vediamo oggi avanzare avrebbero comunque reso questa nostra epoca quella di una rivolta aggressiva».
I due tifoni?
«La morte del pianeta e la crisi del capitalismo sono le due narrazioni che, con pesi diversi, occupano il nostro immaginario. Il neoliberismo è agli sgoccioli, perde colpi e genera una distribuzione della ricchezza di una delirante ingiustizia. Il game ha avuto la capacità di dare voce a una rivolta che ci sarebbe stata comunque. Strisciante, forse. Sarebbe stata probabilmente muta. Invece la rete ha dato combustibile a quella rivolta. Analogamente, il timore dell’avvicinarsi della morte del pianeta ha cambiato le scelte quotidiane di ciascuno e in questo la rete è stata un potente moltiplicatore di messaggi».
Anche a rischio di veicolare visioni apocalittiche del nostro futuro immediato?
«Conta poco. Quando centinaia di milioni di persone sono profondamente convinte di un messaggio, quel messaggio diventa la realtà perché le persone si comportano comunque come se quel messaggio fosse reale. Negli anni Cinquanta in Italia il problema non era se i comunisti mangiassero davvero i bambini ma il fatto che la maggioranza della popolazione ne fosse convinta e si comportasse di conseguenza».
Così torniamo alle narrazioni, agli storytelling.
«Viviamo di narrazioni. E quando abbiamo provato a sostituirle ci siamo ricaduti. Il tentativo di sostituire alla narrazione i fatti o addirittura i numeri è fallito. In fondo che cos’altro è il Pil, se non una delle più grandi narrazioni sul nostro grado di felicità o infelicità?».
È comunque indubbio che i creatori del web non immaginassero la strada che avrebbe percorso la loro creatura.
«Nel 1991 Berners-Lee non immaginava certamente l’evoluzione di oggi. Soprattutto pensava che il web fosse tutto, fosse un campo a disposizione di tutti. Seguiva un principio libertario: il web non aveva padroni».
Oggi non è più così?
«Sono nate applicazioni che seguono altre logiche, diverse da quella che aveva voluto Berners-Lee. Facebook, Whatsapp e Instagram hanno dei proprietari, seguono algoritmi che quei proprietari decidono, sono applicazioni vengono acquisite e cedute, producono profitti. Non sono, insomma un campo libero. E ormai sono diventate il luogo principale di incontro sulla rete».
Le mail, lamentano molti intellettuali, a partire dallo stesso Hillman, creano dipendenze, ci mettono addosso ansie. Come difendersi?
«Possiamo dirla chiaramente? Certi personaggi che se ne lamentano sanno benissimo come difendersi. Gli intellettuali hanno tutti gli strumenti per staccare la spina, per tenersi a distanza da quelle ansie. E spesso, a differenza di chi utilizza le mail per lavoro o addirittura dipende dall’algoritmo di una piattaforma per poter lavorare pedalando con una bicicletta, non hanno assolutamente la necessità di stare in ogni momento connessi. Il problema delle ansie riguarda altri, non loro. A queste persone suggerirei semplicemente: disintossicati da te».