La Stampa, 15 marzo 2019
In Asia le sette città dall’aria irrespirabile
Mentre in tutto il mondo milioni di ragazzi scendono in piazza contro il surriscaldamento climatico, le grandi città dell’Asia soffocano nell’inquinamento. Nonostante i governi della regione promettano di fare di più per combattere lo smog, dalla Corea del Sud all’India, dalla Thailandia alla Cina ci si interroga su come bilanciare crescita economica e rispetto dell’ambiente. Il problema è serio: stando a stime Onu lo scorso anno l’inquinamento ha provocato nel mondo 7 milioni di morti, di queste oltre 4 milioni nella sola regione dell’Asia-Pacifico. Secondo un recente studio di Greenpeace e AirVisual, oggi sette delle 10 città più inquinate del pianeta sono in India. L’aria peggiore si respira a Gurugram, non lontano New Delhi, dove lo scorso anno la concentrazione media delle particelle più inquinanti è stata di 135,8 microgrammi per metro cubo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità se il livello supera 25 l’aria non può più considerarsi sicura.
All’inizio dell’anno il ministro dell’ambiente indiano, Harsh Vardhan, ha fissato l’obiettivo del governo nella riduzione entro il 2024 del 30% dei Pm10 e del 20% dei Pm2.5, le particelle più piccole che penetrano nei polmoni e causano malattie respiratorie e cardiovascolari. È l’intera Asia meridionale la regione dove l’aria è più tossica al mondo. «Comparato al numero di abitanti - aggiungeva il rapporto - il Paese più inquinato del pianeta è il Bangladesh, seguito da Pakistan e India». Se i governi dell’Asia meridionale stanno adottando misure contro l’inquinamento - da multe per chi incendia i rifiuti fino a imporre filtri anti-inquinanti per le industrie - secondo gli analisti si tratta di iniziative ancora cosmetiche, mentre nella regione si continua a fare affidamento soprattutto sul carbone. Sono note le immagini di Pechino e delle altre grandi città cinesi avvolte in una spessa coltre di smog - nota come «Airpocalypse» - che arrivava a superare una concentrazione di 500 microgrammi per metro cubo e che portava poi alla chiusura di scuole e t aeroporti.
Anche grazie alle pressioni dell’opinione pubblica sempre più attenta ai temi ambientali e alle ricadute per la salute, negli ultimi anni le autorità cinesi hanno adottato una serie di misure per combattere l’inquinamento: nel 2018 i livelli di Pm2.5 nella Repubblica Popolare sono scesi in media del 12% rispetto all’anno precedente. Pechino ha ridotto l’uso del carbone per il riscaldamento, aumentato i controlli sui cantieri e i veicoli più inquinanti, messo sotto la lente d’ingrandimento le fabbriche intorno alla capitale. Secondo il rapporto di Greenpeace e AirVisual, oggi la capitale cinese è al 122° posto tra le città più inquinante al mondo, anche se negli ultimi dodici mesi i livelli del Pm2.5 sono stati a una media di 50,9: più del doppio rispetto a quelli raccomandati dall’Oms. Oltre alle ricadute per la salute, nella determinazione della leadership di Pechino di affrontare la battaglia contro lo smog ci sono stati anche gli enormi costi sociali e sanitari.
Se nel Sud-Est asiatico le città dove l’aria è peggiore sono Giakarta in Indonesia e Hanoi in Vietnam, negli ultimi mesi è stato allarme inquinamento anche a Bangkok. Tra traffico, lavori nel settore delle costruzioni e una quasi assenza di vento, nella capitale della Thailandia i livelli della qualità dell’aria sono precipitati e molte farmacie hanno rapidamente terminato le scorte di mascherine N95.
Questa settimana il parlamento di Seul ha approvato misure eccezionali per affrontare «il disastro sociale» dell’inquinamento dell’aria attraverso la creazione di un fondo di emergenza per installare purificatori d’aria nelle scuole e offrire incentivi per l’acquisto di auto Gpl. Mentre nelle ultime settimane diverse città della Corea del Sud hanno registrato livelli record di Pm2.5, lo smog ha anche creato frizioni con la Cina. Da tempo esperti e media sud-coreani puntano il dito sull’inquinamento prodotto nella Repubblica Popolare che i venti spingerebbero in Corea.