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 2019  marzo 15 Venerdì calendario

Biografia di Isabelle Huppert

Isabelle Huppert (Isabelle Anne Madeleine H.), nata a Parigi il 16 marzo 1953 (66 anni). Attrice. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti: due Premi alla miglior interpretazione femminile al Festival di Cannes, per Violette Nozière (1978) e La pianista (2001); due Coppe Volpi, per Un affare di donne (1988) e Il buio nella mente (1995), e un Leone d’oro alla carriera (2005) alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia; un Orso d’argento come miglior attrice al Festival di Berlino per 8 donne e un mistero (2002); un Premio alla carriera alla Festa del cinema di Roma (2018). «Ha il viso giusto dell’assassina, le caratteristiche somatiche del killer, qualcosa di sottilmente perverso» (Claude Chabrol). «Le vittime non fanno per me» • Ascendenze ebraiche, ungheresi e alsaziane, per parte paterna • Ultima dei cinque figli di una famiglia borghese. «Ho un magico ricordo della mia infanzia e adolescenza, di mia madre che suonava il pianoforte e poi, sin da quando eravamo piccoli, ci portava a teatro, ci insegnava ad amare il palcoscenico, le mostre di pittura, i libri. Mio padre era alla guida di un’industria, ma amava viaggiare e organizzava i suoi itinerari con mia madre e noi cinque figli. Ho avuto da mia madre il massimo appoggio nella carriera di attrice, visto e considerato che per prima mi sono resa conto che sarei stata solo una mediocre ballerina classica» (Giovanna Grassi). «Anche da bambina non ero portata alla conversazione. Mia madre spesso mi diceva: “Isabelle, perché non parli?”. Ed io rispondevo: “Penso”» (a Lamberto Antonelli). «Sorella di altre due attrici, allieva di Antoine Vitez, di Robert Hossein e dell’Accademia d’arte drammatica di Versailles, ha debuttato giovanissima» (Lietta Tornabuoni). «Comincia con il teatro. Già dal suo quarto film, I santissimi (1974) di B. Blier, mostra di possedere un misto di grazia e forza drammaturgica che i capelli rossi, l’incarnato diafano e lentigginoso e gli occhi acquosi contribuiscono a rendere di volta in volta sempre più aderente ai personaggi, dall’angelico al diabolico. Nel 1977 si accredita come diva, soprattutto in patria, evocando la soave follia di Pomme, la protagonista di La merlettaia di C. Goretta, e l’anno dopo rifulge di ambiguità nei panni della sospetta avvelenatrice di Violette Nozière di C. Chabrol, che le vale un premio a Cannes. Da questo momento si può permettere di scegliere i ruoli, che alterna fra cinema d’autore e operazioni da botteghino, ma senza mai superare la misura di una recitazione partecipata. Appare così, fra gli altri, in I cancelli del cielo (1980) di M. Cimino, La storia vera della signora delle camelie (1981) di M. Bolognini e Colpo di spugna (1981) di B. Tavernier. Con toni più sperimentali e straniati lavora per J.-L. Godard in Si salvi chi può – La vita (1980) e Passion (1982); duetta con Miou Miou in Prestami il rossetto (1982) di D. Kurys, per poi cambiare radicalmente registro in Storia di Piera (1983) di M. Ferreri. Dopo altre presenze in film statunitensi come La finestra della camera da letto (1987) di C. Hanson, torna a cimentarsi con eroine della letteratura a partire da I demoni (1988) di A. Wajda da F. Dostoevskij, Madame Bovary (1991) di C. Chabrol da G. Flaubert e Le affinità elettive (1996) di P. e V. Taviani da J.W. Goethe. Di mirabile intensità i ruoli perversi in Grazie per la cioccolata (2000) sempre del prediletto Chabrol, La pianista (2001) di M. Haneke, Ma mère (2004) di C. Honoré, Proprietà privata (2007) di J. Lafosse nella parte della madre morbosa o La commedia del potere (2006), ancora di Chabrol, nel ruolo del magistrato. Tra gli altri ruoli, è una buffa zitella in 8 donne e un mistero (2002) di F. Ozon e la lacerata protagonista di Gabrielle (2005) di P. Chéreau» (Gianni Canova). «Lei è per gli autori una calamita, un’attrazione fatale, una icona salvifica, quasi un vizio, in fondo una mancanza di fantasia: appena uno immagina un personaggio femminile travagliato, oscuro, maledetto, eppure rubacuori, pensa subito a lei, e questo […] da quando […] lo svizzero Claude Goretta la volle protagonista di La merlettaia, nel ruolo drammatico di una giovanissima parrucchiera anoressica avviata alla follia. Da allora, Huppert, prostituta, ha avvelenato i genitori (Violette Noziére); cortigiana, è morta di consunzione (La storia vera della signora delle camelie); abortista clandestina nella Francia occupata dai nazisti, è stata condannata a morte (Un affare di donne); scrittrice nevrotica, si è data fuoco (Malina); adultera, si è suicidata col veleno (Madame Bovary); è stata una postina infanticida e pluriassassina (Il buio nella mente); un’imprenditrice omicida (Grazie per la cioccolata); una sadomasochista efferata (La pianista); una madre incestuosa (Ma mère)» (Natalia Aspesi). «In Ma mère (Mia madre), regia dì Christophe Honoré, tratto da un testo di Georges Bataille, all’inizio Isabelle Huppert masturba suo marito; alla fine masturba il diciassettenne suo figlio e suo amante, poi si taglia la gola addosso a lui, che dopo la morte della madre si masturba sul cadavere. Tra l’inizio e la fine, incesti, accoppiamenti d’ogni specie, esercizi erotici tra i più svariati. […] Più sembra composta, educata, riservata, elegante con sobrietà e discrezione, un poco scolorita con la chiara faccia lentigginosa da rossa, una signora distinta e laconica, più i suoi personaggi cinematografici risultano perversi, terribili. […] È diventata costantemente più brava: anziché mettersi tranquilla, come può capitare con l’età, le sue scelte sono sempre più trasgressive, anticonvenzionali (si potrebbe dire scandalose, se la società contemporanea fosse capace di scandalo)» (Tornabuoni). Tra le numerose pellicole cui ha preso parte negli ultimi anni, Amour (2012) e Happy End (2017) di Michael Haneke, Bella addormentata di Marco Bellocchio (2012), In Another Country di Hong Sang-soo (2012), Le cose che verranno di Mia Hansen-Løve (2016), Elle di Paul Verhoeven (2016), Eva di Benoît Jacquot (2018) e Greta di Neil Jordan (2018). Particolarmente acclamata la sua interpretazione della protagonista di Elle, che le ha guadagnato molti riconoscimenti in Francia e all’estero, tra cui il Golden Globe alla miglior attrice in un film drammatico, e la prima candidatura a un premio Oscar, come miglior attrice protagonista. «Questa volta è Michèle, una manager potente e temuta che una mattina viene violentata nella sua bella casa parigina da uno sconosciuto mascherato. Ma, anziché chiamare la polizia, fa un bagno caldo, ordina sushi e ingaggia con lo stupratore (interpretato dall’attore Laurent Lafitte) un gioco erotico perverso. Con calma metodica e fredda determinazione: sarà la sua vendetta, accompagnata da momenti di suspense e umorismo nero. Prima di Isabelle, il ruolo “al limite” di Michèle aveva messo in fuga diverse star, a cominciare da Nicole Kidman. E il film, anziché in America, è stato girato in Francia. […] “La mia Michèle è un’eroina post-femminista. È un personaggio complesso, che non si definisce soltanto per lo stupro subìto, ma per l’insieme della sua vita e dei suoi comportamenti: è infatti la madre di un figlio fragile, ha a sua volta una mamma un po’ pazza, un ex marito, un amante, ed è un boss sul lavoro. Gestisce le situazioni con il pugno di ferro, ma ha attraversato dei drammi, ha paura degli uomini e reagisce alla violenza aggredendo”» (Gloria Satta). «Il film di Verhoeven per me è molto importante come donna e attrice. In passato ho amato in pari misura La merlettaia, diretto da Claude Goretta nel 1977. […] La merlettaia Béatrice detta Pomme perdeva la sua partita con la vita, si chiudeva in se stessa, in un doloroso isolamento. Invece, la donna matura che interpreto in Elle è sempre vincente, anche quando tutti pensano che sia perdente» • «Accumula film su film e in più gira i palcoscenici del mondo, portando in scena personaggi drammatici e testi tragici, come la Medea di Euripide, l’Orlando di Virgina Woolf, la Maria Stuarda di Schiller, la Hedda Gabler di Ibsen e il monologo Psicosi delle 4.48 di Sarah Kane» (Aspesi). «Il teatro è molto doloroso, non è solo piacere. Non so bene perché lo faccio. Forse perché mi piace attraversare i mondi diversi dei vari registi» • «“Attraverso lo sguardo degli altri riesco a essere me stessa”. Fredda e istintiva, dolce e maligna, emozionante e tagliente. Donna dai mille volti, Isabelle Huppert è segretissima, altera, imperscrutabile, ma è anche l’attrice che più si è concessa all’obiettivo dei fotografi. Nello specchio delle altrui brame, la più bella è lei. Da Cartier-Bresson a René Burri, da Robert Doisneau ad Antoine D’Agata a William Eggleston e Helmut Newton, è una musa che si concede senza limiti, un’icona capace di reinventarsi ogni volta, e ogni volta è un’altra, mutevole ma immutabile. “Sono sempre pronta a posare per un fotografo, soprattutto se non me lo chiede qualcuno che non lavora nella moda o nel cinema”. Al contrario di altre attrici, cerca e ama fotografi "umanisti" che non usano artifizi. Al naturale, Huppert riesce così a diventare solo Isabelle. Non più diva, ma una persona come tutte le altre. “Quasi anonima”, aggiunge con un certo gusto per la contraddizione. […] Tra il set e lo studio fotografico, dice Huppert, l’unica cosa che non cambia è l’abbandono, la fiducia. “Devi fidarti di chi ti sta guardando”» (Anaïs Ginori). «Nelle fotografie come nei film, Huppert è sempre se stessa e sempre un’altra, è lei e il personaggio che sta incarnando: di sé non vuole si sappia nulla, del ruolo che offre tutto» (Aspesi) • Sentimentalmente legata dal 1982 al regista e produttore libanese Ronald Chammah, da cui ha avuto tre figli: Lolita (1983), Lorenzo (1988) e Angelo (1997). «Nostra figlia Lolita Chammah […] sta seguendo con soddisfazione, sin da quando era giovanissima, la sua carriera di attrice in teatro e al cinema. […] Mio figlio Lorenzo è un autentico cinefilo e ama il cinema da studioso, come suo padre, e come lui lavora come programmatore, produttore, restauratore di classici, e adora come tutti noi in casa i film italiani del passato, del neorealismo, le commedie di Dino Risi, i classici di Antonioni, il cinema americano. Angelo, invece, ha studiato cinema negli Stati Uniti». «Da qualche anno ho due cinema a Parigi, l’Écoles 21 e il Christine 21. Sono piccoli ex teatri in cui organizziamo rassegne e facciamo una programmazione dedicata a film d’autore. Li gestisce il mio secondogenito, Lorenzo: è una piccola attività di famiglia, o, meglio, un’avventura di famiglia». «Il cinema non ci ha mai divisi, anzi, ci ha tenuti insieme. Tengo alla famiglia più che a tutto il resto. A volte sono stata poco presente, ma sempre attenta. E ho cercato di trovare il tempo per tutto: nella quotidianità e nei rapporti con gli altri cerco la semplicità. Il fatto che abbia interpretato così spesso donne nevrotiche fa pensare che lo sia anch’io. Un po’ è vero. Ma solo un po’» • «“A volte, quando sento la gente dire cose belle su di me mi chiedo se me le merito davvero. Ma poi ci pensano i miei figli, a sistemare le cose”. Cosa intende? “Mio figlio mi prende in giro: quando legge belle cose su di me, mi guarda con la faccia da spaccone come per dire ‘Mamma, a me non la racconti…’. Un gioco che mi diverte molto”» (Cristiana Allievi) • «Non si può vivere senza politica, e fanno bene gli attori a interrogarsi sulla società in cui vivono. […] Ho anch’io le mie idee sulla situazione francese e sul resto del mondo. Ma non le ho mai espresse in pubblico. Preferisco lasciar parlare i miei film: il cinema non è solo intrattenimento fine a se stesso, è anche una lettura della società». «Non so se il cinema può far cambiare idea alle persone e non credo che lo si possa assimilare a un’ideologia o usare come mezzo per mandare messaggi. Credo, questo sì, che il cinema, in certi casi, possa far riflettere» • Claustrofobica. «Se resto chiusa in un ascensore, ho veri attacchi di panico» • «Ha una città preferita? “Chicago. La conosco quasi meglio di Parigi. La prima volta ci sono stata con uno spettacolo teatrale, faceva freddissimo e ho camminato sul lago ghiacciato. Da allora cerco di tornarci appena posso, anche perché nessuno mi riconosce e posso farmi delle bellissime camminate. Amo il jazz, e i club di Chicago sono i migliori al mondo”» (Roberto Croci) • «Ho un account Instagram, che uso poco. Può essere uno strumento positivo, se usato per parlare di temi importanti e per far sentire la propria voce. Ma, quando ha a che fare troppo con la promozione di sé, no, non mi piace» • «Sceglie sempre con coraggio ruoli estremi, prendendo dei rischi. “Il rischio vero sarebbe scegliere personaggi tranquilli in brutti film. Quello che mi sta succedendo prova che vengo ripagata ampiamente. Che cosa c’è di coraggioso nel lavorare con grandi registi come Verhoeven? Ci sono altri ambiti nella vita in cui è richiesto coraggio: io non ne ho bisogno, né ne sono dotata”» (Donzelli). «Non amo il tiepido e trovo piuttosto divertente fare cose che molti considerano estreme. E, se mi diverto, non ho bisogno di coraggio. Da qualche parte devo essere un po’ incosciente, perché mi getto nelle cose senza troppo riflettere. È strano: alle volte rifletto molto, altre niente. Vado e basta. In questo non vedo rischi. Rischierei di più a non farle che a farle, certe cose». «Per un’attrice, le figure femminili poco rassicuranti sono le più interessanti da interpretare perché riflettono la complessità dell’animo umano e la ricchezza espressiva del cinema. E il grande schermo ha il dovere di raccontare nella maniera più forte possibile la nostra epoca. Deve mettere in discussione» (Satta). «"La vita è un incontro tra amore e morte, tra sanità e follia: c’è una linea, superata la quale possiamo impazzire o diventare pericolosi. Il cinema dovrebbe riflettere chi siamo, non ciò che dovremmo essere. Sarei felice di interpretare donne più comuni, ma la verità è che non è capitato spesso". Come se lo spiega? "È questione di tempi, forse. In passato il cinema era anche un modo per trasmettere un senso di felicità e bellezza, come nei film di Frank Capra. Oggi viaggia meno in quella direzione ed è interessante, perché preferisce parlare di personaggi più oscuri. La differenza tra buono e cattivo non è così netta, e il cinema ha acquisito un senso ancora più politico"» (Lorenzo Ormando). «Non vivo solo sullo schermo o in palcoscenico. I miei ruoli non mi divorano. Quando torno a casa me ne libero» • «Minimalista e sempre elegante nella sua sofisticata semplicità» (Grassi). «Signora d’acciaio della recitazione internazionale, esile in apparenza, in grado di sprigionare forza sorprendente attraverso personaggi sempre complessi, spesso disturbanti e provocatori» (Fulvia Caprara). «Tutto in lei (e attorno a lei) è sobrio, lineare, apparentemente anodino. Si concede come svuotata. Una tabula rasa. Per questo i suoi personaggi se ne impossessano fino in fondo. La abitano in maniera così assoluta. Nella vita reale è spesso gentile, disponibile, ma anche la generosità passa per quella sua apparente distanza dal mondo. […] Attraverso questa meravigliosa distanza, Isabelle Huppert racconta storie di donne appassionate o assassine, devastatrici o devastate, blindate o piangenti. Raramente, anzi mai felici. Recitazione realissima (ma non realista) e di anno in anno più essenziale, proprio come il suo corpo. Huppert ha orrore degli orpelli. Nelle serate pubbliche veste di sobria eleganza, ma nella vita di tutti i giorni sembra volersi fare addirittura trasparente. Niente che richiami l’attenzione» (Laura Putti). «Calorosa come un punteruolo da ghiaccio» (Marie-France Etchegoin). «Convinta che il mestiere di attore non appartenga all’ambito dell’interiorità ma a quello dell’esperienza vivente, sa dare sempre ai suoi personaggi un accenno di verità e di autenticità che ne fanno in assoluto una delle più grandi interpreti del cinema europeo» (Canova). «La sua bravura è imparagonabile e forse non è neanche bravura, ma un suo segreto maleficio che mette a disagio lo spettatore, lo relega in un angolo, se ne impossessa, lo trafigge, lo svuota, lo incanta. […] Ha molto turbato ma mai scandalizzato, perché il suo talento straziante riscatta ogni orrore e ogni nequizia, come se i suoi personaggi feroci o dal destino crudele avessero comunque diritto alla comprensione, alla pietà, al perdono, perché l’umanità è anche questa, fatta di errori, orrori, strazio, violenza, tragedia. […] Il suo talento l’ha spogliata da ogni fisicità, dalla prigione implacabile della giovinezza perduta che avvelena la maturità di tante donne ma non la sua» (Aspesi). «Isabelle ha il dono straordinario di esprimere emozioni senza modificare il suo volto» (Chabrol) • «Ha mai pensato di passare dietro la macchina da presa? "No. Sono colpita da quanta energia richieda e conosco molti attori che lo fanno, come Mélanie Laurent. Mi sento realizzata con il mio lavoro e, se dovessi provarci, sarebbe più per curiosità che per desiderio. E non credo che questa sia una motivazione sufficientemente forte"» (Ormando). «Sono interessata solo a me stessa: non faccio la regista perché preferisco girare il mio film dentro quelli altrui» • «Il lavoro dell’attore prende luce dalla forza del regista, fa parte di un tutto e non è mai frutto di un’espressione soggettiva. Quello che si vede sullo schermo nasce dal contatto con l’autore del film e dal modo, cioè dalla forma, con cui ha scelto di raccontare una storia». «Non ho fatto niente per lavorare con Godard o con Chabrol, con Pialat, Ferreri, con Cimino, Haneke o Tavernier. Mi è capitato. Avere fiducia nei registi non è cosa che ho imparato con il tempo; la mia relazione con loro è sempre stata così, e non mi hanno mai delusa» • «Io mi riposo, quando lavoro». «Quando recito, non rifletto troppo. Mi affido alla mia parte incosciente e non teorizzo nulla. Tutto quello che faccio sul set viene dall’istinto: niente è previsto in anticipo. Mi fido di me stessa». «Credo che per un attore sia sempre meglio non farsi troppe domande: meglio agire che pensare». «Non interpreto personaggi: interpreto persone». «Noi attori dipendiamo dalla luce: possiamo apparire insignificanti o dire tutto, a seconda di come veniamo illuminati». «Un battito di ciglia è un evento enorme, davanti alla cinepresa». «Le svolte della maturità la preoccupano? “Oggi sono tante le attrici preparate, belle, brave e giovanissime. In Francia ne abbiamo, e se vengo chiamata a interpretare la loro madre o zia ne sono felice. Domani mi riservo i ruoli di nonna. Penso di recitare sino alla fine della mia esistenza. Non è un privilegio nascere dopo di te: è la vita, e io faccio mia ogni sua età”» (Grassi). «Se pensa al domani, che cosa desidera? “Vorrei continuare a essere l’attrice che sono sempre stata. Appassionata. E totalmente libera”» (Satta).