Il Messaggero, 15 marzo 2019
Pierluigi Biondi: «Niente soldi dal governo, lavori fermi: mi dimetto da sindaco dell’Aquila»
Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila, è nato all’Aquila.
Il granello, divenuto celebre nel suo spot elettorale, non è riuscito a cambiare il meccanismo che, anzi, si è gravemente inceppato. Alla vigilia del Decennale del sisma del 2009, con la città alle prese con una ricostruzione ancora da completare e con lo spettro dei fondi che stanno per finire, con il cuore alle 309 vittime della catastrofe, L’Aquila si ritrova, all’improvviso, senza il suo sindaco, Pierluigi Biondi. Hanno del clamoroso le sue dimissioni, formalizzate ieri dopo giorni di tensioni e turbamenti. Dimissioni ritirabili proprio fino alla vigilia del Decennale. Motivazioni interne, le troppe beghe nella maggioranza, ma soprattutto esterne: il governo promette ma non eroga i soldi che servono per il post sisma. E così la gioia per la vittoria alle regionali dell’amico e collega di Fratelli d’Italia, Marco Marsilio, di cui Biondi è stato sponsor principale in piena sinergia con Giorgia Meloni, è durata il breve volgere di poche ore.
Sindaco, perché si è arrivati a questo atto così grave e così improvviso?
«La città si trova in una fase delicatissima, a pochi giorni dal Decennale del sisma. Le risposte del governo sono ancora insufficienti rispetto alle necessità della comunità».
Una decisione, la sua, maturata all’indomani dell’ennesimo incontro con il sottosegretario alla ricostruzione, Vito Crimi. Evidentemente insoddisfacente.
«Gli ho chiesto conto di una serie di cose. La più importante delle quali è il fondo per il riequilibrio del bilancio comunale. Una cifra quantificata in oltre 12 milioni, ma di cui ci è stata garantita un’erogazione di soli 10. A differenza dei Comuni del Cratere, la cui previsione del trasferimento delle somme è inserita in legge di Bilancio, per L’Aquila questa cosa non è accaduta, per una serie di alchimie e stravaganze parlamentari».
Tutto questo, da solo, può giustificare le sue dimissioni?
«Da tempo reclamo anche altre cose. Per motivi incomprensibili abbiamo congelati nella Struttura tecnica di missione 1,2 milioni di euro che impediscono di assumere persone da dedicare solo alla ricostruzione pubblica che sconta gravi ritardi».
Anche sulla programmazione della ricostruzione e sulla ripresa economica lei reclama gravi ritardi.
«Siamo fermi alla delibera Cipe 48 del 2016. Invoco la nuova programmazione perché nel 2020, forse sfugge a qualcuno, termineranno i finanziamenti della legge di Stabilità 2014 che stanziava 5,1 miliardi. Attualmente ne sono disponibili circa 1,8. E poi ci sono i fondi destinati al rilancio economico, i cosiddetti Restart: non possiamo interrompere il flusso al 2020, ma il comitato apposito non si riunisce da tempo. Se poi non si interviene rapidamente sull’Europa, per scongiurare la restituzione delle tasse intimata alle imprese, dal primo luglio decine e decine di esse chiuderanno».
Cosa succederà ora?
«Senza fondi non siamo in grado né di garantire i servizi né la giusta attenzione alle difficoltà. Non sono disposto né a mettere le mani nelle tasche di famiglie e imprese, né a fare l’esattore. Voglio che questa comunità sia rispettata a qualsiasi livello. Se i fondi non arriveranno farò fare questo lavoro a un commissario. Non farò come l’ex sindaco Cialente: non farò fare passerelle ai politici e non aumenterò le tasse».
Cosa pensa di ottenere in questi venti giorni?
«Mi era stato assicurato che il decreto Etna con i 10 milioni per il Comune sarebbe stato calendarizzato prima a gennaio, poi a fine febbraio, poi oggi. Invece non c’è nulla. Ho detto a Crimi che la città con i forse non può fare più nulla. Mi rendo conto che la mia è una scelta estrema che può essere strumentalizzata, ma devo rispondere alla coscienza. Sono sereno».