La Stampa, 15 marzo 2019
Intervista a Giuseppe Castagna: Servono più fiducia e stabilità politica. Solo così si batte la recessione in Italia
Giuseppe Castagna, banchiere, è nato a Napoli.
Giuseppe Castagna, una vita da banchiere: oltre 30 anni in Banca Intesa, poi al Banco di Napoli, quindi a Banca Popolare di Milano, dal 2017 è al timone di Banco Bpm. Garbato e affabile, è considerato uno dei banchieri più potenti sulla scena nazionale. Lo incontro nella sede milanese del gruppo, in piazza Meda. Preoccupato per l’Europa e per l’economia italiana, Castagna individua nella mancanza di fiducia da parte di imprenditori e investitori, e nel clima di incertezza legato all’instabilità politica, il più importante freno alla crescita del Belpaese. La nostra conversazione si apre con un inaspettato attacco alle politiche di austerity imposte negli ultimi dieci anni dall’Europa. Per il banchiere, si è trattato di un grande errore.
Come vede la situazione in Europa per quest’anno, a livello macroeconomico?
«L’Europa è il vero malato dell’economia globale, e i sintomi erano già presenti da qualche anno. Non tutti hanno voluto vederli, o li hanno visti ma hanno cercato di curarli con ricette molto differenti. L’austerità che ha caratterizzato non la politica monetaria ma la politica economica dell’Europa non ha facilitato una ripresa di tutti i Paesi. Questo lo abbiamo pagato in Italia, nei Paesi periferici del Sud, e però sta pesando su tutti i principali Paesi europei. Se guardiamo alla situazione che c’è in Francia, in Germania, in Spagna, vediamo una forte instabilità che non aiuta nel momento in cui bisogna difendersi da situazioni macroeconomiche mondiali molto complesse».
Quindi è d’accordo con Juncker, che ha parlato con rammarico degli anni dell’austerity? È stato un errore o era necessario?
«Io sinceramente l’ho trovata eccessiva, un po’ sopra le righe, quasi come se fosse una dichiarazione politica piuttosto che una scelta condivisa per far crescere l’Europa tutta insieme. La verità è che purtroppo abbiamo un’Europa ancora basata su quelli che sono gli schieramenti più rilevanti da un punto di vista economico, e quindi a volte, in modo un po’ miope, si percorre la strada più facile invece che quella che può essere più inclusiva».
Arriviamo all’Italia. In questi giorni, un membro della vigilanza Bce, che fra l’altro è un italiano, ha parlato di una recessione che ha come causa degli aspetti autoindotti. Il suo commento?
«Vista dal panorama della Bce, questa necessità che c’è stata in Italia, da parte del nuovo governo, di trascurare quelle che erano le indicazioni, molto forti, sulla spesa, sul fisco, sulla riduzione del debito, le azioni che sono state intraprese, possono essere sembrate non necessarie. Quindi, se per autoinflitto si intende questo, si poteva forse, attraverso un dialogo più costruttivo, perdere meno tempo per trovare una soluzione che è stata trovata nel momento in cui era già superata, perché oggi purtroppo i livelli di crescita non sono più quelli dell’accordo fatto con l’Europa».
Domanda interna debole: quale sarebbe la soluzione per creare più domanda interna in questa economia di recessione?
«Sarebbe indispensabile una situazione di maggiore stabilità e fiducia. Quando si paragona la crisi che abbiamo vissuto, soprattutto l’anno scorso, con l’incremento dello spread, a quella del 2011, dico sempre che non ci sono due cose più differenti. Nel 2011 avevamo un problema di debito sovrano, un problema di banche in grande crisi – anche se purtroppo allora non lo si ammise, mentre tutto il resto di Europa lo fece – e un problema di aziende in crisi. Oggi tutte le aziende hanno fatto una grande cura dimagrante e sono in un’ottima situazione di salute, quindi sarebbero pronte a ricominciare a investire, ma manca la fiducia. Le banche sono passate attraverso grandi processi di ristrutturazione, e sono oggi in una forma molto migliore rispetto al 2011, così come il nostro Paese che proprio grazie a queste due componenti avrebbe oggi la possibilità di riprendere a crescere. C’è solo un problema di instabilità: oggi si parla di quello succederà alle prossime elezioni europee, cosa succederà dopo, il governo tiene o non tiene, etc. Tutto questo non aiuta la fiducia. Se i governi sono fatti per durare 5 anni, non si dovrebbe avere sempre come orizzonte temporale i prossimi tre mesi».
Però in fondo il problema più pesante per l’Italia resta il debito pubblico, o no?
«Penso di sì, ed è un problema anche dal punto di vista formale, di apparenza. Oggettivamente l’Italia ha dimostrato di essere in grado di gestire un debito pubblico così importante, aiutata dalle politiche monetarie della Bce. Ci aiuta molto il risparmio degli italiani che è il nostro vero asset. Tuttavia, se si è aderito a un patto europeo, un patto di stabilità, bisogna in qualche modo rispettarlo. Ma sono anche convinto che l’importante sia dare dei segnali di miglioramento, non che si debba passare dal 130 al 100 per cento del Pil dall’oggi al domani. Quel che conta è la tendenza, e la serietà».
Un’ultima domanda, attuale in questo periodo: è utile far parte di una rete di infrastruttura europea di treni ad alta velocità che lega il resto del continente con Torino e Lione o bisogna invece fermarla e uccidere il progetto, secondo Giuseppe Castagna?
«La prendo come una domanda retorica. Ho visto giorni fa una cartina che faceva vedere la rete internodale dell’alta velocità in Europa, e l’unica frattura che esiste è quella tra Torino e Lione. In un mondo interconnesso, in un’Europa Unita, non ha nessun senso non esserne parte».