la Repubblica, 14 marzo 2019
La mini via della seta
Adesso è una «mini via della seta». Poco più che un accordo commerciale, sia pure con un partner d’eccezione. Un colpo di spugna sul capitolo dell’energia e un altro su quello più delicato delle telecomunicazioni, stralciato assieme al 5G per «ragioni di sicurezza nazionale». Lo stesso vale per le Ferrovie. Neanche la partnership sul porto strategico di Trieste si salva dalle correzioni.
È una versione rivista e ridimensionata del Memorandum of understanding quella che viene riscritta in queste ore. Assai diversa da quella alla quale avevano lavorato il premier Conte e il ministro dello Sviluppo Di Maio. Alcuni dei circa quaranta “protocolli” operativi chiamati a dare esecuzione all’accordo sono stati tagliati, altri verranno rinviati. E dunque, non verranno siglati quando il 22 marzo il presidente cinese Xi Jiping sarà a Roma per la visita di Stato e per chiudere l’intesa. A questo punto è certa soltanto la firma sul Memorandum. Ufficialmente per ragioni di tempo. In realtà, per consentire al governo italiano un «supplemento di istruttoria» sui capitoli più sensibili dell’accordo, telecomunicazioni e energia. Ma non è affatto scontato che a quel punto il presidente cinese accetti di chiudere l’intesa.
Gli uomini di governo della Lega, sponsor dello stralcio, adesso esultano, dopo il pranzo al Quirinale di ieri col presidente Mattarella e mezzo governo.
Arriva un sostanziale via libera del Colle – sempre in sintonia con la Farnesina – alla nuova versione, che ora tuttavia avrà bisogno di un ulteriore passaggio a Palazzo Chigi, che si risolverà in un nuovo vertice del “triumvirato” Conte-Salvini-Di Maio previsto per domani sera.
La partita geopolitica è più complicata del previsto. Il presidente Xi Jiping volerà a Parigi all’indomani della tappa italiana, per un bilaterale all’Eliseo. Il rischio temuto adesso a Roma è che la Presidenza Macron possa “scavalcare” gli italiani, blindando un accordo più ampio e per loro conveniente con Pechino. Il difficile equilibrio tra le ragioni di intelligence e la concorrenza dei transalpini è finito non a caso al centro del pranzo al Quirinale. Al Colle d’altra parte sono ben presenti i timori sulla sicurezza militare: un patto di questa portata non può essere siglato in rotta con gli alleati della Nato e con i partner dell’Unione europea. Tanto meno dopo i moniti lanciati due giorni fa dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo e dai vertici della Commissione a Bruxelles. Un evidente deficit comunicativo nell’azione del governo che ha allarmato Washington e costretto Roma a un’inversione di rotta.
E allora ecco che dalla lista dei capitoli dell’accordo è stata cancellata la parola in burocratese stretto “interoperabilità”. Era una formula criptica per indicare le telecomunicazioni. Ma come è stato fatto notare dai leghisti presenti al Quirinale, Salvini e Giorgetti, tutto il capitolo riconducibile alla tecnologia 5G viene stralciato. Rischiava di aprire le porte a un accordo col colosso cinese Huawei, senza le necessarie garanzie per l’Italia.
Tanto più che proprio quella tecnologia – si sono lamentati dall’Amministrazione Trump – sovrintende al funzionamento dei caccia F35.
L’altro dossier sensibile riguarda i porti. La penetrazione cinese dovrebbe interessare certamente quelli di Genova, Ancona, Livorno, ma soprattutto Trieste. In alcuni casi, il management di Pechino rischia di entrare nella governance delle strutture. In altri, si accontenterebbero di potenziare gli scali per avere accesso alle produzioni, magari adoperando anche ingegneria e manodopera cinese. Il timore più avvertito è che si tratti di una scorciatoia che alla fine permetta loro di far proprio il know how italiano. A Genova vorrebbe dire spalancare le porte al sito di Fincantieri, gioiello tricolore della costruzione navale. Su Trieste la Cina ha già in progetto massicci investimenti. Non è un caso: punterebbero a insediarsi nel porto strategico più a Nord del Mediterraneo. Ed è la ragione per cui il governo italiano ridimensionerà il “protocollo” dedicato allo scalo triestino.
Insomma, troppe incognite su un accordo che rischiava di isolare ancor di più il governo gialloverde in Europa e allargare il solco atlantico. Ci sarà ancora parecchio da trattare, con Pechino. Ed è la ragione per cui il presidente del Consiglio Conte si prepara a ricambiare entro poche settimane la visita di Stato di Xi Jiping.