Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 14 Giovedì calendario

Le quattro malattie della sanità. Parla Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe

Tav, reddito di cittadinanza, ora la Cina. Fiumi di parole. Scomparsa invece dal dibattito la sanità, con cui invece hanno a che fare tante famiglie. Possibile che una delle colonne del welfare sia ignorata, sottovalutata, trattata quasi con indifferenza (a parte la polemica sui vaccini)? «È vero, la sanità è dimenticata dalla politica e la gente dovrebbe reagire. Stiamo perdendo pezzo dopo pezzo la più grande opera pubblica mai costruita in Italia. Le quattro «malattie» che lentamente stanno affossando il servizio sanitario sono: l’imponente definanziamento pubblico (oltre 37 miliardi di euro nel periodo 2010-2019), i livelli essenziali di assistenza sproporzionati, gli sprechi e le inefficienze e un’espansione incontrollata del secondo pilastro (fondi, assicurazioni). Il suo stato di salute è ulteriormente peggiorato a causa di due «fattori ambientali»: la (leale?) collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute (ulteriormente minata dal contagioso virus del regionalismo differenziato) e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione». Nino Cartabellotta, medico ed esperto di organizzazione sanitaria, presiede la fondazione Gimbe, che si occupa di formazione e ricerca. Essa analizza nel corso del tempo l’andamento del Servizio sanitario nazionale ed è diventata punto di riferimento per chi si occupa dei processi di studio, ricerca e pratica clinica e delle metodologie manageriali in campo sanitario. La sua community Instagram ha 4 mila followers.
Domanda. A proposito di regionalismo differenziato, le maggiori autonomie richieste da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna potrebbero avere conseguenze sul Servizio sanitario nazionale?
Risposta. È forte la preoccupazione sull’imprevedibilità delle conseguenze, l’ulteriore spaccatura Nord-Sud, l’aumento del divario tra Regioni ricche e povere e la differenziazione del diritto costituzionale alla tutela della salute. Va detto tuttavia che il regionalismo differenziato non è un fenomeno univoco perché le richieste delle tre Regioni sono assai difformi. Bisognerà verificare in quale direzione il governo intenderà muoversi, certamente è una faccenda assai delicata, in particolare per la sanità.
D. Più in generale qual è il giudizio sulle proposte in materia sanitaria del contratto di governo?
R. Il capitolo sanità del «contratto» si apre con una rassicurante dichiarazione di intenti che esclude in maniera assoluta ogni forma di privatizzazione del servizio sanitario e conferma la volontà di tutelare equità ed universalismo. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, il rilancio del servizio sanitario non sembra rientrare tra le priorità dell’esecutivo: nella Nota di aggiornamento del Def 2018 è stato apportato solo un impercettibile lifting al rapporto spesa sanitaria/pil e la Legge di bilancio 2019 si è limitata a mantenere l’incremento di 1 miliardo di euro fissato dalla precedente legislatura. I 3,5 miliardi previsti per il 2020 e 2021, oltre che alla stipula di un nuovo Patto per la salute con le Regioni entro la scadenza, ormati saltata, del 31 marzo, sono legati ad ardite previsioni di crescita economica.
D. I privati possono supplire alle carenze del servizio sanitario pubblico. Qual è il giusto equilibrio?
R. In linea teorica la sanità privata dovrebbe integrare l’offerta pubblica, ma in pratica le politiche sanitarie regionali hanno una diversa sensibilità sul tema: alcune Regioni destinano alle strutture private accreditate una quota consistente delle risorse rivolte alla sanità, in altre l’offerta è quasi esclusivamente pubblica. Insomma, ognuno va per la sua strada e risulta difficile effettuare comparazioni appropriate. Poi, sul fronte privato, c’è il problema delle polizze assicurative individuali che in Italia hanno una diffusione limitata. Il campo d’azione principale sono i fondi sanitari integrativi, che usufruiscono di agevolazioni fiscali dirette e di quelle legate al welfare aziendale, gestiti da una compagnia assicurativa nell’85% dei casi. La presenza di organizzazioni profit in un contesto creato per enti no-profit sta inevitabilmente distorcendo l’uso dei fondi: infatti il 70% delle risorse impiegate è destinato a prestazioni che si sovrappongono a quelle già offerte dal servizio sanitario, in particolare tramite «pacchetti» di prestazioni molto appetibili per il cittadino consumatore, ma composti da prestazioni inappropriate che aumentano il consumismo sanitario e rischiano di danneggiare la salute in conseguenza di fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento.
D. Che fare di fronte alla prospettata mancanza quantitativa dei medici?
R. Oggi in Italia non mancano i medici, ma gli specialisti, in particolare in alcune aree, per effetto del numero insufficiente di borse di studio per le scuole di specializzazione e per il corso di formazione specifica in Medicina generale. Ecco perché abolire il numero chiuso a Medicina è una proposta insensata. La massima priorità è eliminare l’imbuto formativo finanziando in maniera congrua un numero sufficiente di borse di studio. Purtroppo scontiamo il fatto che il ministero dell’Istruzione e dell’Università e il ministero della Salute «giocano in campionati diversi», nonostante abbiano lo stesso arbitro (il ministero dell’Economia e della Finanza). È inoltre utile sottolineare che tra i Paesi dell’Ocse siamo fanalino di coda nel rapporto infermieri/medici.
D. Una delle grandi questioni è l’invecchiamento della popolazione. Come affrontare in modo efficace il problema degli anziani?
R. Bisogna passare da un fabbisogno sanitario nazionale a un fabbisogno socio-sanitario nazionale perché l’invecchiamento della popolazione renderà sempre più integrati i bisogni di salute con quelli sociali. Per un paziente affetto da demenza dove finiscono i bisogni sanitari e dove iniziano quelli sociali? Perché devono essere gestiti con silos di spesa e budget differenti? Ovviamente il fabbisogno sociosanitario dovrebbe includere, previa rivalutazione, sia le risorse destinate ad alcune spese sociali (ad esempio l’ indennità di accompagnamento e l’ invalidità civile) sia alcuni fondi per le politiche sociali (ad esempio il fondo per la non autosufficienza).