Libero, 14 marzo 2019
L’ossessione di avere tanti libri
Che la vera droga siano i libri, non è poi una gran rivelazione: ogni bibliofilo lo sa, se riflette sulla cifra spesa per procurarsi gli amati volumi, per dotarsi di librerie e scaffali, e se pensa allo spazio che questi ingombranti compagni di vita possono occupare in casa. Lo sapeva bene anche Gaetano Volpi, autore di un istruttivo pamphlet, Del furore d’aver libri, corredato da un esplicito sottotitolo: Varie Avvertenze Utili, e necessarie agli Amatori de’ buoni Libri, disposte per via d’Alfabeto. Volpi, nato a Padova nel 1689, fu un religioso, ma soprattutto un editore, uno scrittore e un esperto delle tecniche di stampa: i testi prodotti dalla sua stamperia e dalla sua casa editrice, pubblicati nella prima metà del XVIII secolo, infatti, si distinguevano per l’eleganza dei caratteri di stampa e per la correttezza dei testi, in un periodo in cui questo non era ancora requisito ricercato. Del furore d’aver libri, ristampato in una edizione fuori commercio per il quarantennale della Geca Industrie grafiche di San Giuliano Milanese, è in parte una piccola enciclopedia della stampa, e in parte una guida alla corretta conservazione dei libri; è un testo prezioso, testimone di quella passione che ancora nell’era del tablet suscitano questi manufatti di carta e inchiostro che, dopo oltre cinque secoli dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, ci accompagnano in ogni luogo, senza bisogno di connessione. Certo, non è più tempo di fare visita ai battiloro per far risplendere a nuova vita le dorature dei codici menbranacei; e, in tempi di tascabili è senza senso la distinzione fra cuoio e cuoio cremisino per rilegare i libri, come pure anacronistiche sono le raccomandazioni a che le cuciture dei fogli e dei quinterni siano sottili e resistenti. Ora, con tanta disponibilità di cataloghi di testi on line, e con la possibilità di consultare in vari formati i testi digitalizzati delle maggiori biblioteche, fa persino tenerezza come Volpi si soffermi sull’importanza degli “Indici o sien Cataloghi delle Librerie” ricordando come sia importante che essi siano redatti secondo i cognomi e non secondo i nomi. Ma altre raccomandazioni sono ancora attuali: leggiamo, per esempio, la voce Lapis, ovvero, la matita, rossa o grigia. Con essa – sacrilegio! – alcuni annotano fra le righe o sui margini i libri, con il risultato di “deformarli”, ovvero di rovinarli, sconciandone la bellezza; per non parlare dei sottolineatori compulsivi, quelli che alla voce “Linee”, sono definiti «leggitori poco considerati, e poco amanti de’ buoni Libri», i quali «vanno tirando nel leggere incondite linee sotto le righe, credendo di segnar così le cose notabili per ricordarsene, cosa inutilissima; mentre si perde la memoria anche di questi segni». L’usanza, definita “barbara”, è dura a morire: provate a spiegare oggi agli studenti usi a sottolineare tutto il libro di testo il concetto socratico per cui evidenziare tutto equivale a non evidenziare nulla: fiato sprecato. Ugualmente biasimati sono poi i lettori che «vanno piegando o le carte intere»: alzi la mano chi non ha mai fatto una piega a un libro; davvero, dopo trecento anni, niente di nuovo sotto il sole!