il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2019
Revenge porn: che cos’è
È un fenomeno ben definito, sembra un reato ma in Italia in realtà non lo è. Il revenge porn, o meglio la pornografia per vendetta, è il prodotto di una serie di condizioni: la velocità con cui è possibile scambiarsi immagini e video, la viralità che ne deriva e, in caso della vendetta, la volontà di danneggiare l’altro. In caso di buona fede, la non consapevolezza delle conseguenze
Che cos’è. Per Revenge Porn, letteralmente, si intende soprattutto la diffusione, in Rete, di video e di immagini hard private, da parte di un ex partner per esempio, senza il consenso dell’altro interessato. Il termine, però, nel tempo ha allargato le maglie del suo significato e oggi sempre più si riferisce in generale alla diffusione di materiale pornografico senza il consenso dell’interessato (o di uno degli interessati) indipendentemente dalla motivazione con cui lo si fa.
Il reato. Non esiste un reato specifico di revenge porn in Italia, anche se c’è una proposta di legge a firma Movimento 5Stelle. “A monte, quando si pubblica o si invia un video o delle immagini per la prima volta e senza il consenso dell’interessato – spiega Nunzia Ciardi, direttore del servizio di Polizia postale – si configura il reato di violazione della privacy. Poi, a catena, ne possono seguire altri come lo stalking, la molestia o l’estorsione se c’è il ricatto. Insomma, bisogna valutare il caso specifico”.
Si può fermare? Intercettare ma soprattutto eliminare immagini e video finiti in rete è impossibile. Spesso, infatti, viaggiano tramite messaggi privati e quindi chi li guarda, per farlo, li ha scaricati sul proprio dispositivo (tablet, smartphone o pc) e li ha memorizzati in archivio. Ogni volta che vengono recuperati e spediti, si crea una nuova copia. Una per ogni destinatario del messaggio. “Non ci si rende conto che mettere online video o immagini intime e strettamente personali rende difficilissimo riprenderne il controllo – spiega la Ciardi –. Certo ci sono alcuni strumenti di intervento, si può chiederne la rimozione ai social network o alle piattaforme, da cui vengono sempre rimossi. Ma in privato si attiva un rimbalzo diabolico: con i messaggi di Whatsapp, Telegram o di altri servizi, nei gruppi, una immagine scattata ad esempio nel bagno di una scuola a ricreazione nel giro di pochissimo può arrivare a tutta la città. La pervasività di questi strumenti è massima, i tempi di riproduzione e rinvio è azzerato, la diffusione è esponenziale. Per questo è impossibile fermarli. Qualcosa che forse prima poteva essere bloccato in pochi passaggi, ora non ha più limiti”. Per eliminarli, bisognerebbe cancellarli da ogni singolo dispositivo che li custodisce. “È chiaro che un sequestro di telefonini di massa è impossibile”.
Donne. Il direttore Ciardi conferma che la maggior parte del revenge porn è ai danni delle donne. Ci sono anche casi in cui a essere coinvolti sono gli uomini, soprattutto nell’ambito del ricatto. Secondo gli ultimi dati di Amnesty International sulle violenze online e sui social media, il 16 per cento delle donne intervistate in Italia ha sperimentato qualche forma di abuso o molestia online. Sarebbe utile una legge specifica?
La legge. “Certo, quella sulla privacy, in particolare per casi con esito drammatico, potrebbe non bastare” dice ancora Ciardi. Di sicuro, però, è importante pun tare su prevenzione e consapevolezza: insegnare che ogni invio, ogni ‘inoltro’, ogni comunicazione può avere conseguenze disastrose. “Conta molto la consapevolezza di un uso corretto – conclude Ciardi –. Oltre le norme, la cui adeguatezza è importante, è importante permettere alle persone di capire che le proprie azioni hanno conseguenze amplificate rispetto al passato. La Rete è un mezzo troppo potente per trattarla con superficialità: si è esposti al mondo, il danno è immenso”.