Corriere della Sera, 14 marzo 2019
Perché calano gli investimenti cinesi
La settimana prossima, il presidente Xi Jinping sarà in Italia. Da Pechino arriva il leader della formidabile nuova potenza mondiale oppure arriva, come direbbero i cinesi, un «gigante dai piedi d’argilla»? La domanda è importante per sapere con chi il governo italiano si appresta a firmare l’ormai famoso Memorandum of Understanding che dà cornice alla collaborazione tra Italia e Cina all’interno della Belt and Road Initiative (nome che i pierre del vertice pechinese hanno addolcito in Nuova Via della Seta). Ed è anche giustificata da alcuni dati pubblicati da due tra i più importanti centri di analisi dell’attività cinese, l’americano Rhodium Group e il tedesco Mercator Institute for China Studies. Dai loro dati risulta che nel 2018 gli investimenti cinesi in Europa sono scesi del 40,5%rispetto al 2017, da 29,1 a 17,3 miliardi di euro. È una caduta del 53% rispetto ai 37 miliardi del 2016. Il calo di investimenti diretti si registra anche negli Stati Uniti: dai massimi del 2016, 46,9 miliardi di dollari, ai 29,7 del 2017. La riduzione generale di interventi in Occidente ha più ragioni: le restrizioni dovute ai controlli di capitale imposti dalle autorità di Pechino a causa di massicce fughe di capitali, la necessità di ridurre gli alti indebitamenti delle imprese e in parte i limiti alle acquisizioni cinesi decisi soprattutto da Washington. L’anno scorso, gran parte degli investimenti europei dell’ex Impero di Mezzo (il 45%) sono andati alle tre maggiori economie della Ue: nel Regno Unito (4,2 miliardi di euro), in Germania (2,1), in Francia (1,6). Ma in misura notevole hanno interessato la Svezia (3,4 miliardi) e il Lussemburgo (1,6). Interessante notare che, sempre nel 2018, del totale degli investimenti solo il 41% è arrivato da imprese controllate dallo Stato cinese, rispetto al 71% dell’anno prima. La frenata segnala che la spinta espansiva di Pechino incontra ostacoli interni – dati da alcune fragilità del sistema – ed esterne, soprattutto reazioni politiche non solo in America ed Europa ma anche in Paesi già molto coinvolti nella Belt and Road Initiative, come Pakistan, Malesia, Sri Lanka, finiti o timorosi di finire nella «trappola del debito» rappresentata dai prestiti di Pechino per finanziare infrastrutture. I piedi di Xi non sono forse sempre d’argilla, ma non sono nemmeno ben piantati sul terreno.