il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2019
Senza Zalone il botteghino piange
Che il Natale sia una promessa di Resurrezione quest’anno non lo intenderanno solo i cristiani più avvertiti, ma i cinematografari tutti: il 25 dicembre arriva in sala il nuovo film di Checco Zalone. È il salvatore della patria, il re Mida, il re taumaturgo, il campione del box office, chiamatelo come vi pare, per Luca Medici parlano i numeri: il suo Quo vado? nel 2016 registrò 65 milioni e 300 mila euro al botteghino, pari al 34% degli incassi del cinema italiano e al 9,9% di quelli totali. Di lì in poi miseria, vesti stracciate e templi, pardon, sale vuote, sicché i credenti sgranano il rosario di Checco: Cado dalle nubi (2009), Che bella giornata (2011), Sole a catinelle (2013), Quo vado? e l’annunciato Tolo Tolo. Non può, non deve fallire, nonostante le incognite non manchino: il titolo esotico, comunque meno evocativo dei precedenti; l’ambientazione africana (Kenya e Marocco), che potrebbe scontare questi tempi sovranisti e razzisti; la prima volta alla regia di Luca, dopo il divorzio consensuale da Gennaro Nunziante e il mancato accordo con Paolo Virzì, che co-firma la sceneggiatura.
Però la serie storica è importante, l’abituale produttore Pietro Valsecchi confida, da Trieste in giù l’astinenza da Zalone è conclamata: dati Cinetel, gli spettatori nel 2018 sono stati 85 milioni e 903 mila, contro i 92 milioni e 264 mila del 2017 e – udite, udite – i 105 milioni e 293 mila del 2016, l’ultimo anno-Zalone. Venti milioni di presenze volatilizzate, e sul fronte incassi la débâcle si taglia col machete: dai 661 milioni e rotti di euro dell’anno-Zalone, via i 584 del 2017, si è passati ai 555 dello scorso anno. Un’ecatombe, ancor più per il settore tricolore: rispetto all’anno-Zalone, la quota di mercato nazionale nel 2018 segna un -34,17%. Se considerando la tradizionale stagione cinematografica 1° agosto-31 luglio il prospetto sarebbe ancor più punitivo, nemmeno gli anni solari nascondono la crescente disaffezione per la produzione nostrana, ovvero la rarità di un exploit da top10: nel 2017 Mister felicità di e con Alessandro Siani si piazzò al decimo posto (10.206.028 euro) degli incassi, preceduto al nono (10.376.400 euro) da L’ora legale di Ficarra e Picone; nel 2018 il primo degli italiani, A casa tutti bene di Gabriele Muccino che peraltro verrà insignito del neonato David dello Spettatore, non è andato oltre l’undicesima posizione (9.179.618 euro). In questo scorcio di 2019 le cose non vanno meglio, anzi: gennaio e, addirittura il peggiore dal 2013, febbraio hanno palesato un decremento di spettatori e incassi sul 2018, e per i nostri colori il saldo è vieppiù negativo. Un osservatore poco attento potrebbe scambiare la top10 italiana dal 1° agosto 2018 fin qua per quella americana, giacché comprende nove titoli statunitensi e uno, Animali fantastici: I crimini di Grindelwald, britannico; viceversa, nella top10 dell’anno solare a conquistare una piazza è unicamente 10 giorni senza mamma, settimo con 7 milioni e 159 mila euro. Che fare? Scommettere su qualche titolo di prossima uscita capace di invertire la rotta – il sequel Bentornato presidente con Claudio Bisio o Ci penso io di Riccardo Milani? – oppure mettere le mani avanti, guardando ai registi sul set o giù di lì: Nanni Moretti (Tre piani), Matteo Garrone (Pinocchio), Giuseppe Tornatore (ancora senza titolo), Gianni Amelio (Hammamet) e Marco Bellocchio, che si vorrebbe in predicato per Cannes con Il traditore, alias il Tommaso Buscetta di Pierfrancesco Favino.
Nomi illustri e film promettenti, invero, più per i festival che il botteghino, ma mai dire mai. Per quello c’è già, sempre dati Cinetel, il botteghino, dove il traguardo del milione è ormai impresa da novelli Marco Polo: dal 1° agosto 2018 sono 228 – ha fatto i conti il blog Cinemotore – i titoli che non l’hanno superato, sintomo scoperto di parcellizzazione e distacco. C’è tempo per raddrizzare la situazione? Macché, semmai C’è tempo, l’esordio alla regia di un lungometraggio di finzione di Walter Veltroni, approdato lo scorso weekend su 217 schermi: forse il titolo non induce a scapicollarsi in sala, di certo gli spettatori non si sono precipitati, appena 29.903 per 188.700 euro di incasso. Tredicesima posizione, la peggiore media copia (870 euro) dei primi quindici, Veltroni può consolarsi – punge il daily Cineguru – con “i consensi sperticati di alcuni dei maggiori editorialisti italiani e in generale una grande attenzione mediatica”. Gli spettatori paganti, però, chi li ha visti?