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 2019  marzo 13 Mercoledì calendario

Epurazioni e frustate in Iran

L’anno del quarantesimo anniversario della Rivoluzione islamica in Iran verrà probabilmente ricordato come uno dei più duri soprattutto per le cittadine che aspirano alla libertà. Quando il regime teocratico iraniano è in difficoltà apre le porte del famigerato carcere di Evin. Ma non per far uscire i dissidenti, bensì per imprigionarne di nuovi o per riportare dietro le sbarre i vecchi. Lo dimostra la durissima e ingiusta condanna a 33 anni di carcere e 148 frustate nei confronti dell’attivista e avvocata premio Sacharov Nasrin Sotoudeh, 55 anni, madre di due bambini, l’unica tra le attiviste a non aver lasciato la repubblica islamica dopo aver già scontato 3 anni di carcere dal 2011 al 2014.
L’altro metodo usato dalla Guida Suprema, il grande ayatollah Ali Khamenei – successore di Khomeini – per reprimere il dissenso interno è la nomina di giudici oscurantisti. Per questo la decisione presa da Khamenei di nominare a capo della magistratura Ebrahim Raisi, colui che nel 1988 ha fatto parte della cosiddetta “Commissione della morte” responsabile di migliaia di condanne all’impiccagione ai danni degli oppositori, è un ulteriore segnale delle turbolenze scatenatesi nel paese, non solo tra semplici cittadini e la nomenklatura sciita, ma anche all’interno del clero spaccato tra riformisti e falchi. L’esempio più lampante sono state le recenti dimissioni, poi rientrate, del ministro degli Esteri, Javad Zarif, fedelissimo del presidente progressista Rohani e, di conseguenza, inviso alla Guida Suprema.
Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul Nucleare, stipulato nel 2015 grazie anche agli sforzi diplomatici di Zarif, e il rinnovo delle sanzioni contro Teheran costituiscono solo una parte dei problemi socio-economici che la società iraniana sta vivendo e che l’anno scorso hanno portato alla prima serrata del gran bazar di Teheran, cuore pulsante dell’economia iraniana, da quando lo scià venne defenestrato. Il tasso di disoccupazione altissimo, la svalutazione monstre della valuta, l’inflazione a doppia cifra, il sistema bancario fragile e opaco, condito con la corruzione dilagante dell’ampio entourage di Khamenei protetto dai pasdaran, dal 2017 hanno portato, a intervalli sempre più ravvicinati, nelle strade delle principali città migliaia di persone esasperate. Il regime, anziché tentare di dialogare, però ha risposto reprimendo ancora più violentemente del solito le manifestazioni. “La condanna della signora Sotoudeh è terribile, persino per un paese dove il dissenso è sempre stato bloccato in modo crudele”, commenta l’organizzazione Iran Human Rights. Secondo l’Ong negli ultimi due anni c’è stato un aumento esponenziale degli arresti di coloro che provano a difendere la libertà di critica. La sproporzionata condanna dell’avvocata è la conferma che il regime vuole mettere a tacere la società civile. Anche Amnesty International ha commentato con toni assai preoccupati “una sentenza vergognosa arrivata al termine di un processo irregolare”.
A diffondere la notizia della condanna emessa nel giugno scorso è stato il marito della donna, Reza Khandan, con un post su Facebook. L’uomo a sua volta è stato condannato a gennaio a 5 anni per aver cospirato contro la sicurezza nazionale e a un anno per propaganda anti-governativa, assieme a un altro attivista, Farhad Meisami. Le accuse nei confronti dell’attivista iraniana vanno dalla “collusione contro la sicurezza nazionale” alla “propaganda contro lo Stato”, dall’“istigazione alla corruzione e alla prostituzione” e ancora alle “apparizioni in pubblico senza hijab”. A scatenare la furia degli ayatollah contro l’avvocata è stato il suo impegno nella difesa delle donne arrestate per essersi scoperte il capo in luoghi pubblici e per aver criticato il nuovo codice penale che consente solo a un ristretto numero di avvocati di rappresentare imputati di crimini contro la sicurezza nazionale.
Ieri è stato condannato anche un cittadino americano, Michael White, veterano della Marina statunitense, per un reato che il giudice della città di Mashad non ha rivelato. Il veterano si trovava in Iran per fare visita alla fidanzata. Si tratta del primo americano finito in carcere in Iran da quando Donald Trump è diventato presidente. Nei prossimi mesi, quando le conseguenze delle sanzioni economiche statunitensi si saranno fatte più dolorose per la popolazione, è probabile che altri americani finiranno dietro le sbarre iraniane come forma di ritorsione. Vale la pena ricordare il monito del ministro Zarif quando tentò di dimettersi: “Le battaglie tra partiti e fazioni in Iran sono un ‘veleno mortale’ per la politica estera”.