il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2019
Michele Ainis: Il referendum non si può fare, neanche locale
Michele Ainis, grante Antitrust, è nato a Messina.
Il popolo, volenti o nolenti, salta fuori quando meno te l’aspetti: capita così che la bandiera dell’antipopulismo per legittimarsi abbia bisogno di una consultazione popolare. Parliamo di Tav e lo facciamo con Michele Ainis, costituzionalista, membro dell’Autorità garante per l’Antitrust e firma di Repubblica.
Professore, per dirimere la vexatissima quaestio della Tav si evoca un referendum. È la soluzione?
Non credo. La vicenda investe una delle lacune del nostro impianto costituzionale, che prevede il referendum abrogativo, non quello propositivo né quello consultivo. Quest’ultimo era stato proposto dalla Commissione Bozzi all’inizio degli anni Ottanta e anche, pur in maniera embrionale rimandando a una legge di attuazione, anche dalla riforma Renzi-Boschi. Tutte queste riforme però sono rimaste appese al libro dei desideri. A oggi il referendum è impossibile.
Quindi, come si fa?
Si deve cambiare la Costituzione. Ci sarebbe bisogno di una riforma costituzionale, con i tempi e le incertezze che accompagnano le riforme della Carta. Senza dire che ultimamente le riforme costituzionali non portano benissimo a chi le propone.
Quello abrogativo non si può fare, giusto?
No. Perché la materia, parliamo di un accordo internazionale, è esplicitamente sottratta alla competenza dei referendum. Accadde la stessa cosa quando i Radicali volevano indire un referendum sui Patti Lateranensi.
E il consultivo?
Solo con una legge costituzionale. Nel 1989 fu indetto un referendum di questo tipo per conferire il mandato costituente al Parlamento europeo. Per farci andare a votare venne emanata una legge costituzionale, approvata con il procedimento ex articolo 138 della Carta. È l’unico precedente in tema.
Si potrebbe immaginare di indire un referendum con una più agevole legge ordinaria?
La legge ordinaria, secondo me, non basta. Perché abbiamo un precedente in cui si utilizza la procedura ex articolo 138 di cui parlavo. E soprattutto la legge non può istituire fonti concorrenziali rispetto a se stessa. Mi spiego meglio: con una legge non si può inventare un decreto legge. Il decreto legge esiste in virtù della Costituzione.
Ma allora perché non si fa su base regionale?
C’è una questione preliminare di principio: le grandi opere pubbliche si realizzano con il denaro di tutti i contribuenti e sono di interesse nazionale. Mi trovai tanti anni fa ad Annozero con Bersani, all’epoca segretario del Pd, e il futuro direttore del Fatto, Marco Travaglio. Dissi in quell’occasione: ma perché non si fa un referendum? Io sono favorevole. Bersani mi rispose: se si fa un referendum sull’inceneritore X, gli abitanti della zona X saranno sempre contrari. E io risposi proprio questo: il referendum si deve sempre fare su base nazionale, proprio perché si spoglia degli interessi dei pochi.
Tecnicamente si può fare un referendum per ogni singola regione?
No. Può dare un risultato a macchia di leopardo. Come li contiamo? Nella giurisprudenza costituzionale non ci sono statuizioni chiarissime, ma diciamo che una serie d’indizi sono sfavorevoli a questa ipotesi: l’articolo 123, che norma i referendum regionali, è stato interpretato in modo estensivo, ma resta il problema di come farli coincidere. Non si può fare come il campionato di calcio, con anticipi e posticipi… Insomma è una via difficilmente praticabile se non impervia. La Consulta (con la sentenza n. 256 del 1989) ha già escluso l’ipotesi.
Chiamparino però ha annunciato di voler avviare le procedure.
Diciamo che c’è un interesse politico di Pd, Lega e Forza Italia a mettere in difficoltà i 5 Stelle proponendo il referendum: loro hanno nel Dna la democrazia diretta. Il retropensiero è che tanto la maggioranza degli italiani è favorevole al Tav, almeno stando ai sondaggi. In politica ci sta il tornaconto, anche se a volte non porta proprio bene: basta pensare a quante leggi elettorali sono state concepite e votate per fare lo sgambetto all’avversario e hanno mandato ko i proponenti…
A proposito di Regioni: lei è molto critico verso la nuova devolution, già ribattezzata “secessione dei ricchi”.
I principi costituzionali camminano sulle gambe degli uomini, e gli uomini non hanno mai lo stesso passo. In questo caso c’è un principio condivisibile in astratto – l’autonomia differenziata – che può diventare una sciagura in questa stagione della storia. Perché la richiesta di nuovi diritti, o di maggiori poteri, riflette soprattutto gli egoismi della nostra società. Adesso è meglio fermarsi, riparliamone al prossimo giro.