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 2019  marzo 13 Mercoledì calendario

Mattarella sulle montagne venete lancia l’allarme: “La crisi è globale”

Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, è nato a Palermo.
BELLUNO «Tirava un vento mai visto. Diluviava. Sono uscita di corsa per salvare il mio gatto: solo quando mi ha vista si è rassicurato. Poi è andata via la luce. In casa abbiamo acceso le candele. La pioggia sgocciolava dal tetto. Al risveglio ho aperto la finestra e il bosco non c’era più». Sul palco del teatro comunale di Belluno, una bambina, Alice, rievoca la notte di tempesta di lunedì 29 ottobre 2018. Il ciclone Vaia sfigura la montagna veneta. Le raffiche a 150 chilometri all’ora piegano milioni di alberi. Strade sbriciolate come biscotti secchi. Paesi isolati per giorni. Tre morti. È caduta tanta acqua quanto ne cade a Roma tutto l’anno. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ascolta in prima fila. È venuto quassù per onorare le vittime e omaggiare i volontari – tremilacinquecento uomini e donne – che si sono prodigati giorno e notte, per settimane. È questo disastro, di cui nessuno parla più, che lo induce a un discorso severo, da padre di famiglia. «Mai come in questo caso è stato chiaro, all’opinione pubblica, che i mutamenti climatici comportano effetti pesanti anche sull’ambiente del nostro Paese». La campana suona per tutti. «Sentire parlare della desertificazione di ampie fasce delle terre africane o dei violenti tifoni nei Caraibi, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, appariva qualcosa di remoto», dice Mattarella. «Invece ci costringe a fare i conti con la realtà». Un’ora prima, alle dieci del mattino, al cimitero di Fortogna, nella frazione di Longarone – dove riposano i duemila morti della tragedia del Vajont – gli alunni della locale prima media gli riconsegnano a mano una lettera che avevano già inviato al Quirinale per posta. Racconta di un leccio che aveva resistito al crollo della diga nel 1963 e che ora la furia di Vaia ha sradicato. Il male può tornare, insomma, se l’uomo non coltiva la memoria. La cura dell’ambiente è uno dei temi cari a Mattarella, che ha firmato il famoso documento dei capi di Stato di Parigi, boicottato poi da Trump. E il presidente è sensibile alle istanze dei giovani, che venerdì sfileranno in tutta Italia in una grande marcia ecologista. L’altro giorno, non a caso, ha citato Greta Thunberg, la loro eroina. Dice Mattarella: «Siamo sull’orlo di una crisi climatica planetaria, per scongiurare la quale occorrono misure concordate a livello globale. Gli sforzi compiuti nelle conferenze internazionali hanno conseguito risultati significativi, ma parziali e ancora insufficienti. Deve essere chiaro che il rapporto con la natura è fatto di rispetto degli equilibri dell’ecosistema. Perciò vanno respinte decisamente tentazioni dirette a riproporre soluzioni già ampiamente sperimentate in passato, talvolta premessa per futuri disastri». In sala ci sono i 209 sindaci dei Comuni colpiti da Vaia. Interromperanno con quattro battimani il suo intervento. Poi il governatore Luca Zaia e Mattarella sorvolano in elicottero le zone colpite, ovunque distese di alberi come stuzzicadenti. Interi tratti del Cadore e dell’Agordino che assomigliano a un paesaggio lunare. «Guardi qui, Rocca Pietore», gli indica Zaia, un paesino tra i più bersagliati ai piedi della Marmolada. «Che disastro», commenta il Capo dello Stato. Ci sono sindaci alle prese con i problemi di ricostruzione, a cui sono venuti i capelli bianchi. L’enorme patrimonio boschivo, fonte di ricchezza, è stato raso al suolo. In tutto il Veneto si sono schiantati 14 milioni di alberi. Il governo ha stanziato un miliardo di euro. Serve un cambio di passo, è il monito Mattarella. «Le opere di contenimento e regimentazione, se non suffragate dall’apprendimento delle precedenti esperienze non ottengono risultati positivi ma, al contrario opposti a quelli prefissati, violando equilibri secolari che vanno difesi. Diversamente rischiamo di ritrovarci altre volte a piangere delle vittime, frutto non della fatalità ma della drammatica conseguenza di responsabilità umane. L’amara e indimenticabile esperienza del Vajont ce lo insegna». «Scrivo da un Paese che non c’è più», è il celebre incipit di Giampaolo Pansa dal Vajont, che generazioni di cronisti hanno mandato a memoria. Mattarella, nel mattino limpido, passeggia silenzioso tra le lapidi del camposanto di Fortogna, dal 2003 monumento nazionale. Ben 487 erano bambini. «Questo è un luogo di dolore e di tristezza, ma è anche un luogo di doverosa memoria verso il futuro» redige di suo pugno sul libro dei visitatori. A Belluno ricordo della notte di ottobre in cui la tempesta Vaia devastò il bosco L’amarezza del presidente: “Disastro”