Corriere della Sera, 13 marzo 2019
«Gli inglesi fanno scorte perché ricordano la fame». Simonetta Agnello Hornby: «Abituati a razionare il cibo. La loro flemma ci inganna»
Simonetta Agnello Hornby, scrittrice, è nata a Palermo.
Londra Un piano in stile militare per «sfamare la nazione»: il governo britannico ha convocato per lunedì prossimo i responsabili delle maggiori catene di supermercati per fare il punto su come affrontare l’emergenza alimentare in caso di no deal, cioè di Brexit senza accordi con la Ue. I supermercati dovranno riferire in tempo reale sulla situazione delle scorte nel Paese.
«Gli inglesi sono sempre stati drammatici – commenta Simonetta Agnello Hornby, la scrittrice siciliana da oltre 40 anni a Londra, che ha pure dedicato volumi alla cultura del cibo –. La cosiddetta flemma inglese è un modo per reagire alla vita. Queste corse alle scorte fanno parte di questo dramma: è difficile capirli, perché si tratta di due estremi».
Ma addirittura si legge di gente che fa scorte di olive e di riso...
«Fanno incetta di tutto perché hanno avuto una vita molto grama. Questo è un Paese povero, non ha abbastanza agricoltura per mantenersi, deve importare. Noi italiani non lo capiamo, perché il cibo non lo abbiamo mai importato. Qui avrebbero altrimenti una dieta terribile: senza i limoni dalla Sicilia avrebbero avuto lo scorbuto. Per loro importare era fondamentale per vivere, è una paura innata negli inglesi».
Qualcosa che segna la psicologia collettiva.
«Sì, è una cosa storica. Hanno avuto il razionamento del cibo fino alla metà degli anni Cinquanta. La guerra l’avevano vinta e ancora razionavano il cibo, perché non ne avevano abbastanza. Per cui per loro il concetto di razionare il cibo, di nasconderlo, di non sprecarlo, è fondamentale».
Com’era quella Londra degli anni Sessanta, quando lei è arrivata?
«Allora non c’era neanche una pizzeria. L’olio si comprava in bottigliette minuscole ed era da poco nella sezione del cibo, perché prima lo si trovava in farmacia: l’olio di oliva serviva per disotturare le orecchie. Aglio e prezzemolo non esistevano, l’aceto di vino era rarissimo. E il prezzemolo: pensi che ce l’abbiano tutti, ma qui no, allora».
Fa parte della loro storia Questo è un Paese povero, non ha abbastanza agricoltura per mantenersi, deve importare quasi tutto il cibo
Beh, magari si poteva provare a mangiar fuori...
«Non c’erano ristoranti italiani, il cibo italiano era esotico. Si faceva il macaroni cheese, che era una besciamella col cheddar e la pasta cotta dentro. Questa era la cucina italiana che conoscevano».
Potrebbero tornare quei tempi?
«Non possono tornare perché oggi ci sono gli aerei e perché la loro dieta è ormai basata sul nostro cibo. E anche perché questa non è una guerra, è un problema di dazi. Credo che si sia fatta una gran tragedia di poco».
Cosa ha messo nella sua cucina londinese?
«La mia cucina qui è identica a quella che ho a Mosè, in Sicilia: ho l’olio, formaggi italiani e inglesi. Non ho fatto scorte, ma la riserva di olio ce l’ho sempre, almeno due litri... Nella mia cucina ho molto cheddar, che è un buon formaggio. Sono riuscita a ricreare e riuscirò a ricreare la mia cucina di Sicilia perché non c’è motivo per pensare che l’olio non si importi più e non si venda. Magari arriverà dal Sudamerica: ma è tanto rumore per nulla».
C’è una drammatizzazione in quello che si legge?
«Guardiamo Shakespeare: che emozioni, che drammi! Potrebbe essere una cosa siciliana: il pathos è lo stesso. A differenza di voi nati nella Penisola, io mi identifico di più con gli inglesi, in quanto isolana. Anche noi abbiamo avuto l’invasione normanna, come loro. E come loro diciamo “il Continente”».