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 2019  marzo 12 Martedì calendario

UN BAIL IN DEL BELIN! – SI PARTE CON LA FUSIONE DEUTSCHE BANK-COMMERZBANK: A RISCHIO 30/40MILA POSTI DI LAVORO, MA CON L'INTERVENTO DIRETTO DEL GOVERNO MERKEL PER AGGIRARE LE REGOLE SUL BAIL IN – TANTO CHE PURE FUBINI FA GODERE I SOVRANISTI: “DOPO MOLTE LEZIONI ACCIGLIATE ALL’ITALIA ORA BERLINO SVUOTA LE NORME EUROPEE QUANDO SI DEVONO APPLICARE ALLA GERMANIA” -

1 – COMMERZ SI FA UNA FUSIONE? – IL “FINANCIAL TIMES” SPIEGA PERCHÉ IL GOVERNO TEDESCO SPINGE COSÌ FORTE PER IL MATRIMONIO TRA DEUTSCHE E COMMERZBANK: È L’UNICA CHANCE CHE HANNO DI SALVARE I DUE GIGANTI, SOPRATTUTTO LA PRIMA. MA DALL’UNIONE DI DUE MALATI POTRÀ MAI NASCERE UNA UBER-BANCA SANA?  – IL PIANO DEL VICE CANCELLIERE SCHOLZ E IL RUOLO DI GOLDMAN SACHS http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/commerz-si-fa-fusione-ndash-ldquo-financial-times-rdquo-spiega-197381.htm

2 – DEUTSCHE-COMMERZ, SI PARTE Giacomo Berbenni per “Italia Oggi”

I top manager di Deutsche bank hanno accettato di avviare le trattative con la concorrente Commerzbank per una possibile fusione: lo hanno riferito fonti di mercato, spiegando che il via libera ai colloqui informali riflette la maggiore disponibilità del cda di Deutsche a valutare un eventuale matrimonio. Le crescenti pressioni esercitate dal governo tedesco, per via della performance deludente dell' istituto, starebbero giocando un ruolo importante nelle discussioni. Una fonte vicina a Deutsche Bank ha precisato che l' accordo è stato stipulato nella seconda metà di febbraio.

Le discussioni coinvolgono gli amministratori delegati: Christian Sewing per Deutsche bank e Martin Zielke per Commerz. Sono stati coinvolti anche altri dirigenti chiave. Il presidente di Deutsche, Paul Achleitner, avrebbe puntualizzato agli investitori e ad altre persone vicine alle trattative che i colloqui sulla fusione sono di competenza del capoazienda. Comunque sia, Achleitner rimarrebbe un elemento di primo piano nei colloqui, avendo presieduto il consiglio di sorveglianza durante gli incarichi di tre amministratori delegati.

L' esecutivo guidato dalla cancelliera Angela Merkel, inoltre, è pronto a sostenere una potenziale fusione dei due istituti per creare un gigante bancario nazionale e rispondere allo scetticismo di investitori e clienti sulla capacità di rimanere sani e indipendenti.

Il Wall Street Journal ha citato recentemente un funzionario senior delle autorità di regolamentazione tedesche, che avrebbe esaminato e approvato in maniera ufficiosa il piano di aggregazione. Secondo il funzionario, il ministro delle finanze Olaf Scholz e l' Spd, il partito socialdemocratico, stanno lavorando attivamente all' operazione, ma anche i conservatori guidati da Merkel avrebbero accettato l' idea delle nozze. «È una decisione sulla politica industriale e deve quindi essere presa dai politici», ha concluso il funzionario.

Comunque sia, gli azionisti e gli analisti temono che le complessità legate all' integrazione della tecnologia, ai tagli al personale e all' allineamento della gestione dell' eventuale matrimonio rendano la fusione rischiosa. Gli addetti ai lavori stimano che le due banche debbano eliminare da 30 mila a 40 mila posti di lavoro solo in Germania, affinché la fusione abbia un senso economico. I top manager, proprio per questo motivo, avrebbero chiesto rassicurazioni al per avere luce verde nei tagli del personale. Scholz, inoltre, avrebbe puntualizzato che Berlino considera essenziale che le banche non finiscano in mani straniere.

Le voci di mercato hanno fatto decollare i titoli delle due banche alla borsa di Francoforte: Deutsche bank ha guadagnato il 4,96% a 8,06 euro e Commerzbank il 7,15% a 7,104 euro. «Al di là delle sinergie sui costi, le trattative sulla fusione potrebbero essere state innescate anche dalla paura di finire in mano straniera», osserva Sean Harrison, analista di GlobalData.

3 – BANCHE TEDESCHE, SALVANDO LA DEUTSCHE BERLINO AGGIRAL’EUROPA Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

Per qualche giorno l’Italia è rimasta ingolfata in una discussione sul presunto «ricatto». Prima Giovanni Tria, il ministro dell’Economia, ha dichiarato che il suo predecessore del 2014 dovette accettare le regole del bail-in sulle banche perché appunto «ricattato» dal suo pari grado tedesco Wolfgang Schäuble. Poi ha cercato di correggere.

Quasi tutti hanno voluto dire la loro, spesso in modo confuso, su quella decisione che introdusse l’obbligo di coinvolgere azionisti, creditori e potenzialmente depositanti delle banche nelle perdite quando scatta un salvataggio pubblico. Ma mentre in Italia si parla, in Germania si fa. Il ministro delle Finanze Olaf Scholz il mese scorso ha passato una giornata a consultare banchieri d’affari. Voleva capire come far funzionare una fusione fra le prime due banche del suo Paese, Commerzbank e Deutsche Bank.

Hanno entrambe bisogno di aiuto. Alle loro spalle c’è l’economia più forte d’Europa, eppure Deutsche ha perso il 75% in Borsa dal 2015 e Commerz ha dimezzato il valore dall’inizio del 2018. Ormai la spinta di Berlino verso la creazione di un campione nazionale tedesco sembra difficile da fermare, per un motivo preciso: dopo i salvataggi (senza bail-in) del 2008, il governo è il primo azionista di Commerzbank con il 15%. Se la fusione si facesse, diventerebbe socio anche della «nuova» Deutsche e completerebbe così la nazionalizzazione dell’intero sistema del credito in Germania. Dopo molte lezioni accigliate all’Italia che cerca di aggirare il bail-in (non sempre con successo), ora di fatto Berlino svuota le norme europee quando si devono applicare alla Germania.

Era già successo in gennaio con la ricapitalizzazione pubblica di Norddeutsche Landesbank. Per dire che nella vita servirebbe coerenza fra parole e azioni, gli inglesi dicono: metti i tuoi soldi dov’è la tua bocca. In tedesco, è intraducibile

4 – DEUTSCHE BANK, L’UE E IL BAIL-IN. GLI SCHELETRI NELL’ARMADIO DI ANGELA MERKEL Gianluca Zapponini per www.formiche.net

A occhio nudo potrebbe sembrare la classica operazione di libero mercato: una banca sana che ne compra una malata. E invece no, quella in atto tra Deutsche Bank e Commerzbank è qualcosa di più. Con ogni probabilità un vero escamotage messo in atto da Berlino per evitare di accollarsi la responsabilità del bail in, il salvataggio bancario a carico di azionisti e obbligazionisti, dunque risparmiatori. Perché caricare la collettività dei disastri di Deutsche Bank, sarebbe troppo. Meglio agire d’astuzia dimenticandosi in fretta e furia delle lezioni impartite ad altri Paesi che di problemi con le banche ne hanno sì, ma non meno dei tedeschi.

Come raccontato più volte da Formiche.net (qui uno degli articoli sul tema), Deutsche Bank, prima banca tedesca, è in crisi da anni al punto di non stare ormai più sulle sue gambe. Mezzo miliardo di perdita nel 2017, bilanci gonfi di derivati e un passivo di 1,6 miliardi iscritto a bilancio solo per l’aver investito nei municipal bond americani. Impossibile non intervenire. Ma come. Il governo Merkel ha da tempo messo in cantiere una soluzione industriale, almeno a prima vista: la fusione con il secondo istituto teutonico, decisamente più in salute di Deutsche Bank: Commerzbank.

L’idea sarebbe quella di fondere i due istituti in un unico conglomerato bancario, seguendo due strade. O scaricare le perdite della banca di Francoforte su Commerzbank oppure scorporare le attività malate in una bad bank e far confluire la parte sana nella banca di Amburgo. Non è ancora chiaro, quello che conta agli occhi della Merkel è che a pagare il conto non siano milioni di risparmiatori tedeschi, che altrimenti finirebbero nel frullatore del bail in. Al massimo 30 mila lavoratori in esubero previsti dalla fusione, ma questa è un’altra storia.

Tutto bene, anzi no. Perché ci sono almeno un paio di cose che non tornano nell’operazione appena confermata (questa mattina) dal ministro delle Finanze tedesco, Olaf Sholz. Primo, il governo tedesco è primo azionista unico di Commerzbank con una quota del 15% (qui la “torta” con la ripartizione dell quote). Dunque in caso di fusione, la Repubblica federale tedesca sarebbe socio di riferimento della maggiore banca tedesca (non è prevista una diluizione del capitale pubblico), certamente tra le prime cinque in Europa. A conti fatti, il grosso del sistema bancario tedesco risulterebbe così nazionalizzato da Berlino.

Un po’ di memoria storica aiuta: dal 2008 al 2017 il governo tedesco ha speso la bellezza di 22 miliardi tra salvataggi e ricapitalizzazioni (Commerzbak inclusa, alla quale sono riconducibili 14,6 miliardi di aiuti, tradottisi nella quota del 15% in mano a Berlino). Lo Stato italiano, tanto per fare un raffronto, ne ha spesi 5,4 per Mps, su Carige non ha messo ancora un euro mentre sia sulle popolari venete sia sulle quattro casse fallite a fine 2016 è scattato il meccanismo del burden sharing previsto dalla normativa Ue. Il governo Merkel invece, solo un mese fa, ricapitalizzata con soldi pubblici NordLandsbank, istituto cooperativo finito a corto di ossigeno e ora interamente controllato dallo Stato. Insomma, parlare di nazionalizzazioni bancarie in Italia rimane un tabù, mentre la Germania dell’ortodossia europea si appresta a diventare primo socio di un gigante del credito.

Non è tutto. L’operazione architettata da Berlino, la fusione Db-Commerzbank, ha come detto l’evidente scopo di aggirare il bail in. Quello stesso meccanismo tanto temuto che a sentire il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sarebbe stato accettato dal suo predecessore Fabrizio Saccomanni (governo Letta) solo per il ricatto che gli fu posto dal collega tedesco Wolfgang Schaeuble (ex ministro delle Finanze), il quale avrebbe paventato il rischio che, non accettando il bail in, si diffondesse la notizia che l’Italia non avrebbe avallato la nuova normativa per paura sulle condizioni di salute delle sue banche. Anche la Germania ha i suoi scheletri nell’armadio.