il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2019
La Cina a caccia di mamme
Togli il preservativo, metti il preservativo. Il governo cinese si dimostra sempre più indeciso sulla questione demografica, se non sul lungo, almeno sul breve periodo. Dopo aver messo fine nel 2013 alla politica del figlio unico – durata 35 anni, necessari a diminuire la popolazione quanto è bastato per triplicare la crescita – ora il presidente Xi Jinping è preoccupato dall’arresto delle nascite, cosa che potrebbe far deragliare la seconda economia del mondo, con un impatto globale di vasta portata.
Sarà questo forse il motivo che ha portato Pechino a raccogliere informazioni sulle cittadine “in età fertile”. A scoprire il database è stato Victor Gevers, ricercatore olandese imbattutosi in una cache di informazioni su 1,8 milioni di donne. Divise in colonne, a ognuna di loro è fatto corrispondere sesso, età, istruzione, stato civile, oltre a un campo intitolato “BreedReady”, traduzione maccheronica che sta per “età fertile”. Nonostante la cache sia stata cancellata lunedì, la denuncia del ricercatore ha fatto scattare l’allarme privacy in tutto il paese. E anche qualche domanda. Primo: da dove ha tratto i dati il governo? Secondo: come intende utilizzarli? Al primo quesito in molti hanno risposto chiamando in causa il più grande sito di appuntamenti della Cina, Jiayuan.com, che già qualche tempo fa era stato ritenuto troppo vulnerabile, tanto che un ricercatore era stato in grado di carpire i dati degli iscritti. Fatto sta che le organizzazioni per i diritti umani in Cina gridano alla schedatura mettendola in relazione proprio con le regole di programmazione familiare del governo di Xi Jinping. Ma non è tutto, secondo lo stesso ricercatore olandese, il Partito comunista e l’esecutivo avrebbero messo a punto la tecnica per carpire informazioni attraverso una società di sorveglianza chiamata a monitorare almeno 2,5 milioni di residenti nello Xinjiang. Nella regione vivono minoranze musulmane “schedate” attraverso telecamere a riconoscimento facciale e geolocalizzazione, e in seguito arrestare in un blitz.
Tornando alle donne, il database riunisce notizie su cittadine dai 15 ai 32 anni, di cui l’80% è stato schedato sotto la voce “single” e l’82% come “residente a Pechino”. Nella griglia informativa compaiono voci come “politica” e “in possesso di video”, nonché collegamenti a pagine Facebook, sito vietato in Cina, ma raggiungibile attraverso reti private virtuali. Victor Gevers ha provato a contattare le proprietarie dei profili per capire se avessero dato il consenso per la raccolta delle informazioni, ma per ora il risultato è stata la creazione di forum online in cui a farla da padrone sono preoccupazione e complottismo: alcuni utenti accusano il governo di stare realizzando The Handamaid’s Tale, la serie tv in cui le donne sono costrette e riprodursi. Niente di più facile, visto il deludente tasso di natalità della Cina al minimo storico dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949, con 15,23 milioni di nascite, drammaticamente inferiori ai 21-23 milioni previste dal Partito comunista. Un crinale che entro il 2050 vede un terzo della popolazione composta da persone di età superiore ai 60 anni. Per questo i governi regionali stanno lottando per invertire il trend con sussidi, iniziative di propaganda e nuovi regolamenti sui congedi parentali. A Xiantao, nella provincia di Hubei, gli ospedali si sono offerti di coprire i costi del parto e di dare un sussidio di 500 yuan (66 euro) per il primo figlio e altri 700 (92) per il secondo. A Changsha, nel sud, una campagna pubblicitaria lo scorso anno elencava “I 1001 motivi per avere un bambino”.
Tra il 2016 e il 2017, quasi tutte le province hanno esteso il congedo di maternità. Alcuni temono che tali misure diventino coercitive, simili, anche se opposte, alle multe, aborti forzati e sterilizzazioni degli anni dello stop alle nascite. Sostituite in questo caso con la prevenzione degli aborti selettivi, ad esempio, manovre già evidenti in alcune province; o ostacoli al divorzio, con un periodo di riflessione obbligatorio. L’anno scorso in un articolo del Quotidiano del Popolo, si leggeva: “La nascita di un bambino non è solo una questione di famiglia ma anche un affare di Stato”. Affermazione che farebbe il paio con quanto scritto da un utente nel forum: “A dire il vero, questo tipo di dati è ovunque”.