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 2019  marzo 12 Martedì calendario

Perché gli italiano gesticolano così tanto

Gli italiani nel mondo sono famosi, più che per le loro gesta, per i loro gesti. Il gesticolare italico, appunto, gode di diffusione planetaria anche grazie a qualche più o meno macchiettistico film hollywoodiano. Le mani sono le grandi protagoniste della comunicazione non verbale, anzi “coverbale” come dice qualche studioso, per esempio Claudio Nobili nel suo freschissimo I gesti dell’italiano (Carocci editore, pp. 128, euro 12), saggio accademico semantico-semiologico che può essere sfogliato con gusto anche da un non addetto ai lavori, soprattutto per il variegato repertorio di esempi. Un italiano si riconosce da come muove le mani perché le nostre dita che danzano nell’aria e intorno alla faccia fanno parte di un vocabolario ben preciso. Un “gesticolario”, appunto. Prendiamo per esempio uno studente slovacco che voglia imparare la nostra lingua. Vedendo un tizio che si passa il dorso delle dita sotto il mento, dall’interno verso l’esterno, non potrà mai sapere che questo signore sta esprimendo il concetto di “non me ne frega niente”. A quanto pare il gesto viene dai tempi della Magna Grecia, e ha qualcosa a che fare con il fatto di staccarsi la testa piuttosto che compiere una determinata azione. Ogni paese ha i suoi movimenti che accompagnano il dire, ed è facile equivocare. Se un romano si morde la nocca di una mano chiusa a pugno vuol dire che si sta trattenendo dallo spaccare la capoccia del suo interlocutore. Se a farlo è un parigino, è perché ce l’ha con se stesso per aver sbagliato qualcosa. Il linguaggio dei gesti non è internazionale, o lo è solo fino a un certo punto. Muovere avanti e indietro i polpastrelli dell’indice e del medio di entrambe le mani è un gesto esportato dagli americani per simulare le virgolette di un testo scritto, ma lo troviamo ormai sulla bocca, anzi sulle dita, anche di un conduttore di un canale televisivo avellinese. Così come non possiamo escludere che dall’altra parte del mondo qualcuno abbia adottato il nostro cavallo di battaglia: le “dita a borsa” su e giù, il napoletanissimo “ma che vuoi?” o “ma cosa stai dicendo?” o anche “ma chi sei?” visto nei film di Totò, tipo nell’ormai leggendaria scena della lettera con Peppino De Filippo.

GLI ANTICHI
Rifacendosi a una letteratura scarna ma avvincente, Nobili ci ricorda come già nel 1832 un archeologo eclettico come Andrea De Jorio avesse compilato un ricco volume intitolato La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano. Definendo per esempio l’atto di strofinare i polpastrelli all’altezza di un’appendice di baffi inesistenti come un modo per dire che qualcosa è stato fatto alla perfezione. Per approfondire il tema suggeriamo anche l’eccellente Dizionario dei gesti degli italiani di Fabio Caon (Guerra edizioni), non a caso provvisto di dvd e di aggiornamenti video on line per distinguere con chiarezza dalle altre la mimica tricolore. Quello che un tempo era diffuso regione per regione ora è dominio di tutti. Il cinema italiano lo conferma, spesso a partire da quelle pellicole di serie b o c dove agli attori era richiesto un gesticolio che enfatizzasse la battuta ridicola. Basta guardare Lino Banfi e la sua attrezzatura espressiva fatta di gesti esplicativi e apotropaici (dove le corna e gli ombrelli primeggiano). Un grande utilizzatore di espressioni coverbali è Carlo Verdone, in grado di esibirle nella forma di veri e propri tic linguistici a corredo di personaggi nevrotici, comici, tragici, profondamente italici (Alberto Sordi docet).

AL PARLAMENTO EUROPEO
Non è neanche improbabile che ai traduttori simultanei del Parlamento europeo sia stato fatto un corso di interpretazione della chiacchiera politica. Matteo Renzi, per dire, è ormai un caso di scuola. Le sue appendici digitali strette e protese a “indicare il punto”, o morbide e ondulanti a “mettere fra parentesi”, o a sottolineare la millimetrica precisione di un provvedimento, sono accademicamente codificabili come accessori semiotici delle sue leggendarie supercazzole verbali. Non che l’omonimo Salvini sia messo molto meglio. Già è annunciata la pubblicazione di uno studio sulla sua gestualità mutuata a partire dalla frequentazione assidua delle più rinomate bettole cispadane. Il linguaggio dei gesti si sta universalizzando in quella che ne è divenuta la forma iconica più comune: gli emoji presenti sulla grande maggioranza dei telefoni cellulari della terra. Dalla Siberia al Capo di Buona Speranza è oggi possibile darsi del cornuto con il pollice raccolto oppure disteso, perfino variando fra le etnie.