Il Messaggero, 12 marzo 2019
Il documentario sull’Hitler della Birmania
Il settimanale Time gli ha dedicato la copertina, ribattezzandolo «l’Hitler di Birmania». Gli attivisti di tutto il mondo, guidati da Cate Blanchett, lo considerano il responsabile della persucuzione che, nell’indifferenza del Premio Nobel Aung Sang Sui Kyi, sta sterminando i Rohingya, la minoranza musulmana di quel Paese orientale. È Ashin Whiratu, il monaco buddista che predica «la protezione della razza e della religione» attraverso la violenza, l’odio, l’intolleranza: a lui il regista franco-svizzero Barbet Schroeder (Barfly, Il mistero Von Bulow) ha dedicato lo sconvolgente documentario Il venerabile W che uscirà il 21 marzo con la distribuzione Satine e il patrocinio di Amnesty International. Attraverso un’intervista esclusiva con il monaco e immagini di cronaca mai viste, Schroeder denuncia un’emergenza umanitaria quasi sconosciuta in Occidente. «In Myanmar (nuovo nome della Birmania) è in atto un genocidio annunciato che tradisce la filosofia pacifista del buddismo», spiega il regista, 77, che conclude così la trilogia sui grandi del Male, iniziata con il dittatore ugandese Idi Amin Dada e proseguita con l’«avvocato del terrore» Jaques Vergès. «Wirathu mi ha parlato», racconta, «perché il film gli avrebbe permesso di esprimere le sue idee aberranti».
L’EPOCA
Il regista l’ha convinto dicendogli che voleva ascoltarlo «perché, all’epoca delle riprese, in Francia stava per essere eletta presidente Marine Le Pen, che aveva posizioni analoghe alle sue». Schoreoeder ha seguito Wirathu per sei mesi, registrando i suoi deliranti comizi e non solo. «Abbiamo ripreso i saccheggi da lui ordinati nei quartieri dei Rohingya, gli incendi, gli stupri di massa, le deportazioni. Ci siamo infiltrati, fingendoci turisti, nelle folle sterminate che ascoltavano le sue invettive contro i musulmani». Convertito al buddismo in età giovanile («l’ultima illusione ormai caduta»), il regista ha lavorato mosso da uno scopo preciso: «Ho provato a capire le ragioni di un assurdo massacro. E il il ruolo di Aung San Suu Kyi, consigliere di Stato del Myanmar, che per non aver difeso i Rohingya, ha ricevuto la condanna dell’Onu e rischiato di restituire il Nobel. Non sono riusciti a toglierglielo, ma la sua credibilità ne è uscita disintegrata». Schroeder girerà un film dal libro di Alice Zeniter L’art de perdre sulla guerra d’Algeria, «poco raccontata al cinema, a differenza del conflitto in Vietnam». Si considera un regista d’impegno civile? «No, cerco soltanto di capire le cose».