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 2019  marzo 12 Martedì calendario

Ai Weiwei trenta tonnellate di bottoni

Una delle innumerevoli tragedie del tramonto (in Occidente) del settore manufatturiero è rappresentata dalla quantità di aziende storiche, portatrici di un know how acquisito spesso attraverso i secoli, costrette alla chiusura.
La Gran Bretagna è stata tra le nazioni più colpite: esempio più recente la Brown & Co Buttons, nata 104 anni fa a Croydon, a circa un’ora di macchina dal centro di Londra. Il bottonificio di Everton Road chiude; l’enorme stock rimasto in magazzino – trenta tonnellate – sembrava destinato al macero. Un appello su Twitter nel quale si cercavano acquirenti per almeno una parte dei bottoni rimasti in magazzino è stato raccolto da un grande artista contemporaneo, il cinese (inviso alle autorità) Ai Weiwei. «Posso averle tutte?», ha risposto Ai Weiwei via Twitter aggiungendo il suo indirizzo e-mail.
Nessuno sa a realizzare quale nuova idea servano tutti questi bottoni: quel che è certo è che l’artista cinese ha fatto delle idee sorprendenti il suo brand.
Nel 2011, in una delle sue installazioni più fotografate, collocò semi di girasole (artificiali: di porcellana, uno diverso dall’altro) nella Turbine Hall della Tate Modern di Londra. L’idea era quella di trasformare uno dei prodotti più famosi della tradizione cinese – la porcellana – nel punto di partenza di una delle installazioni di Ai Weiwei che lasciano aperte una serie di domande, in questo caso sulla natura dell’individualità, dell’artigianato e della produzione in serie (i semi di girasole erano uno diverso dall’altro). Anche un inconveniente tecnico indesiderato – camminare ripetutamente sui semi di girasoli, come fecero i numerosissimi visitatori, fece sollevare in aria polveri potenzialmente tossiche e la Tate Modern impedì di camminare su quei semi, che potevano soltanto essere guardati, aggiungendo peraltro all’opera un ulteriore livello di riflessione.
Due anni fa ricoprì le colonne della facciata della Konzerthaus di Berlino – una delle sale da concerto più famose del mondo, e una di quelle con l’acustica più raffinata – con 14 mila giubbetti salvagente. Quelli dei rifugiati che cercavano di raggiungere l’Europa. D’altronde nel 2016 aveva decorato la facciata di Palazzo Strozzi a Firenze, per la sua mostra «Libero», con una lunga fila di gommoni, per sottolineare il medesimo tema.
I maestri di Ai Weiwei sono Andy Warhol – scoperto nel suo «periodo» newyorchese degli anni Ottanta – e Marcel Duchamp. Negli ultimi anni, la sua arte è diventata sempre più politica, utilizzando media sorprendenti: ritratti di dissidenti politici realizzati con il LEGO e, per l’appunto, i numerosi progetti sulle migrazioni nel Mediterraneo.
Arte che provoca e a volte scatena polemiche molto dure: interrogato sul motivo per il quale i migranti sono diventati il tema centrale del suo lavoro – come se non bastasse il fatto che ha un passato da rifugiato, oltre che un presente da sorvegliato speciale delle autorità cinesi – Ai Weiwei è stato come sempre epigrammatico: «Non sono nato artista, sono nato essere umano».