la Repubblica, 12 marzo 2019
La solitudine del direttore straniero
«Non sono state prese decisioni». Le uniche parole ufficiali del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli restano queste: il futuro dei direttori dei musei autonomi, nominati nel 2015 dal predecessore Dario Franceschini, rimane incerto. Anche se tutti sono in scadenza quest’anno. Alcuni addirittura entro sette mesi. Compresi gli stranieri: Eike Schmidt (Uffizi), James Bradburne (Brera), Sylvain Bellenger (Capodimonte), Peter Assmann (Palazzo Ducale di Mantova), Cecilie Hollberg, (Accademia di Firenze), Gabriel Zuchtriegel (Parco Archeologico di Paestum) e Peter Aufreiter (Galleria Nazionale delle Marche, Urbino). Per alcuni è già iniziato il “tiro al piccione”. Vedi il caso di Bellenger, colpevole di aver chiesto di esporre la tela con le Sette opere di misericordia di Caravaggio nel suo museo, in occasione della mostra sul pittore che si inaugura il 12 aprile. Il no allo spostamento temporaneo di due chilometri, dalla chiesa in cui si trova il dipinto alle sale di Capodimonte – già avvenuto nel 2004 per un’altra esposizione – è stato deciso dal direttore generale del Mibac, Gino Famiglietti. Ed è stato usato per lanciare una campagna contro lo stesso Bellenger. Dal ministero si smarcano: «Il no al prestito di Caravaggio non è legato al giudizio sul direttore». Dal canto suo Bellenger si “difende” con poche frasi: «Per me parla quello che ho fatto in questi quattro anni. Sarà il ministro a decidere se devo continuare il mio progetto».
Il colpo, però, è stato dato. Basta così poco per mettere in crisi l’autonomia dei musei varata solo quattro anni fa: con direttori selezionati attraverso un bando internazionale, bilancio e capacità di spesa indipendenti? Le preoccupazioni che in questi giorni rimbalzano tra le sedi dei principali musei statali e il Collegio Romano fanno pensare di sì. La solitudine dei direttori – rimasti da più di un anno senza il loro ministro di riferimento Franceschini e senza nuovi referenti forti – inizia a diventare troppo rumorosa. Nonostante gli ottimi risultati raggiunti. Dal 2016, primo anno pieno della riforma, al 2018 i visitatori sono passati da 45.383.873 a 55.504.372: vale a dire oltre 10 milioni in più. Molti di questi numeri si devono proprio all’apporto dei direttori stranieri. Che, però, oggi, sono tutt’altro che rassicurati dal successo. E persino sul Wall Street Journal di qualche giorno fa hanno letto un titolo come “Italy May Say Arrivederci to Foreigners Leading Museums": l’Italia potrebbe dire arrivederci ai direttori stranieri dei musei.
«Si procederà a una valutazione del loro operato. Ma a seconda della valutazione andranno avanti automaticamente oppure no. Non dovranno partecipare di nuovo a un bando. Hanno un contratto di quattro più quattro», aveva fatto sapere il ministro Bonisoli a gennaio. Una norma per la loro conferma era già stata prevista dall’ex titolare del Mibac. Ma intanto c’è chi preferisce giocare d’anticipo, senza aspettare un eventuale “arrivederci”. Se James Bradburne, da Brera, sostiene sia «troppo presto per parlare», l’austriaco Peter Assmann ha già deciso: lascerà il Palazzo Ducale di Mantova per dirigere una rete di musei in Tirolo. Nonostante il boom di oltre 300mila visitatori all’anno e il ricorso vinto al Consiglio di Stato contro la sua nomina di “non italiano”. «Sto scrivendo un libro su questa storia – racconta – somiglierà a Quo vado?, il film di Checco Zalone. Mi trovo benissimo qui: a Mantova ho il sostegno di tutti. Il passaporto non c’entra. In Italia manca una visione chiara della politica culturale. La cultura non appartiene ai politici: devono esserci delle linee guida condivise da tutti e per molto tempo. Il rinnovo di un mandato va deciso almeno un anno prima. Ci sono mostre da programmare. Tutte queste attese e i ripensamenti sono inaccettabili: fanno pensare che l’intero sistema dell’autonomia dei musei sia in difficoltà». Anche Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, ha già un posto certo al Kunsthistorisches Museum di Vienna, dal 2020: «Ma su questo sono scaramantico. Non mi pronuncio. A Firenze abbiamo programmato tutte le mostre fino al 2020 e i progetti architettonici e di restauro fino al 2024. Non siamo in un contesto feudale. Non si deve cominciare ogni volta daccapo con un nuovo direttore. Se preferirei restare agli Uffizi? Sono molto affezionato al museo, ma per ora non ci sono nuove prospettive». Sarà per l’assenza di prospettive che nell’ultimo bando internazionale lanciato dal ministero per le direzioni da assegnare – tra cui Pompei e Accademia di Venezia – gli aspiranti stranieri sono appena il 4 per cento? «Dico la verità: mi sto guardando attorno: a fine novembre rischio di restare senza lavoro – spiega Peter Aufreiter, direttore della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino – Certo, l’anno prossimo, per il cinquecentenario di Raffaello, mi piacerebbe esserci ancora. Ma non so ancora di quale budget potrò disporre. Perché la macchina della cultura funzioni ci vuole più autonomia possibile. Gli accordi devono essere fatti dai musei, non dai politici. Altrimenti si rischia confusione. Il caso dei prestiti di Leonardo con la Francia lo ha dimostrato». «Prima si sa e meglio è», ribatte, riferendosi al rinnovo del mandato, Cecilie Hollberg, che guida l’Accademia di Firenze con il 22 per cento di biglietti in più e ha ottenuto la tutela dell’immagine del David di Michelangelo: «Certo, da quando sono qui, sono cambiati tre governi». Gabriel Zuchtriegel, nato nel 1981 in Germania, ha riportato all’attenzione internazionale il Parco Archeologico di Paestum: «A partire dalle donazioni ricevute – 300mila euro in tre anni – ho imparato come si fanno i miracoli». Siamo sicuri che basterà?