la Repubblica, 12 marzo 2019
Gino Famiglietti, il "signor no" vero uomo forte del ministero
Gino Famiglietti, Direzione Regionale di Belle Arti, originario di Frigento (Avellino).
Chi è il direttore generale che decide la politica dei Beni culturali Eccolo il “signor no": Gino Famiglietti, originario di Frigento, in Irpinia, classe 1952, siede sulla poltrona di direttore generale di Belle arti, archeologia e paesaggio da ottobre. Prima di raggiungere il vertice amministrativo del ministero è stato direttore generale dell’archeologia e poi degli archivi. La sua è una formazione giuridica, specializzazione in diritto romano, che riemerge continuamente anche nella conversazione privata. Un “signor no” che, gradino dopo gradino ha percorso la scalinata del Collegio Romano, sede del ministero, fino al suo apice. Da dove sta emettendo una raffica di provvedimenti che a memoria non si vedevano da tempo e che risaltano nel confronto con la conduzione politica assai prudente del ministro Alberto Bonisoli. Sono provvedimenti frutto di una rigorosa concezione della tutela di beni culturali e paesaggio, secondo chi plaude; provvedimenti che invece bloccano, imbavagliano, immiseriscono la cultura, secondo chi li osteggia. Intorno al suo nome e alla decisione di non consentire alle Sette opere di Misericordia di Caravaggio di spostarsi, a Napoli, dal Pio Monte della Misericordia a Capodimonte si è accesa una violenta rissa. Non solo. Si è anche spalancata la faglia che divide chi denigra da chi apprezza la riforma varata da Dario Franceschini (anche se, pubblicamente, Famiglietti non prende posizione né pro né contro). Tra i suoi sostenitori spicca, da sempre, Salvatore Settis, di cui è stato consulente quando lo storico dell’arte antica era a capo della commissione che scrisse il Codice dei beni culturali e del paesaggio. E Settis è sempre stato assai critico verso la riforma. Dalla parte di Famiglietti militano anche le principali associazioni di tutela, Italia Nostra fra queste. Tra i suoi avversari dichiarati, invece, c’è Giuliano Volpe, archeologo, ex presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, fautore e poi difensore della riforma Franceschini. E, anche se non figurano nelle cronache di questi giorni, critici verso il direttore generale sono Andrea Carandini e Daniele Manacorda. Prima della decisione su Caravaggio, presa, si fa notare al ministero, dopo la relazione di due funzionari dell’Istituto superiore di conservazione e restauro, Famiglietti ha fatto partire diversi atti d’indirizzo generali e una serie di ukase. Uno riguarda ancora Napoli e una griglia in piazza del Plebiscito di servizio alla metropolitana (in questo caso, come in quello di Caravaggio, andando contro il parere della locale soprintendenza). Un altro blocca l’ampliamento di Palazzo dei Diamanti a Ferrara, progettato alla fine del Quattrocento da Biagio Rossetti, nel cui giardino sarebbero sorti nuovi volumi. Con un altro ancora ha chiesto di annullare i permessi a costruire a Vicenza, nei pressi della Rotonda di Palladio dove è sorto il terribile insediamento di Borgo Berga. Famiglietti ha poi imposto delle prescrizioni per il Giardino dei Giusti sul Monte Stella, a Milano. Per molti anni Famiglietti è stato il vice capo dell’ufficio legislativo del ministero. Ed è mentre ricopre questo incarico che si forma la sua fama di osso duro, di inflessibile oppositore di iniziative a suo avviso lesive dei principi della tutela (o, al contrario, di rigido sacerdote di un’ortodossia conservativa). Nel 2009 Famiglietti s’imbatte in una preziosa commode settecentesca, opera dell’ebanista Antoine-Robert Gaudreaus. La commode sta per essere esportata, il vincolo che la tutelava viene rimosso. Famiglietti si oppone. E da allora comincia un lungo, tortuoso iter fra tribunali amministrativi e penali (la commode ha poi preso la destinazione della Reggia di Versailles evitando di finire sul mercato antiquario). Nel frattempo Famiglietti viene punito: nel 2010 lo spediscono alla Direzione regionale del Molise. Dove però si distingue per un’altra tostissima battaglia, quella contro l’insediamento di un complesso di pale eoliche che avrebbe gravato sull’area archeologica di Sepino. Gli anni passano, molti dirigenti vanno in pensione e Famiglietti nel settembre 2014 rientra a Roma, dove in seguito a un carosello di direttori, assume la guida dell’archeologia. In questa veste, oltre a una serie di provvedimenti, seguiti da plausi e reprimende, promuove l’accordo con la Fondazione Torlonia per restaurare e portare alla luce in una mostra una parte della collezione di statue antiche chiuse dalla metà degli anni Settanta in due stanzoni del palazzo Torlonia in via della Lungara a Roma (la mostra sarà aperta in autunno, curata da Settis e da Carlo Gasparri). Dopo un passaggio alla direzione generale degli archivi, nel 2016, dove mette sotto tutela le carte di Giorgio Vasari e di Baldassarre Castiglione, ecco l’approdo alla direzione generale più importante del ministero, quella che somma beni storico-artistici, archeologia e paesaggio, alla quale si era candidato già qualche anno prima con l’appoggio di Settis. L’ultimo passo verso la vetta del ministero Famiglietti l’ha compiuto ministro Alberto Bonisoli, che gli avrebbe chiesto di spostare il pendolo verso la tutela, dopo che aveva oscillato troppo verso la valorizzazione. Saranno i prossimi mesi a dire se l’obiettivo verrà colto: il primo agosto Gino Famiglietti lascerà l’incarico e andrà in pensione.