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 2019  marzo 11 Lunedì calendario

Intervista a Michele Geraci: «Stati Uniti ed Europa non hanno da temere avremo solo più tutele per le nostre imprese»

Michele Geraci, dal 2018 sottosegretario allo Sviluppo economico nel Governo Conte, nato a Palermo.
ROMA Di certo è una bella responsabilità andare dritti verso un asse con la Cina dopo le non troppo velate minacce degli Stati Uniti e le forti preoccupazioni di Bruxelles. Ma Michele Geraci, il sottosegretario allo Sviluppo economico che più i tutti ha curato dietro le quinte la svolta verso la Cina, non si immagina uno strappo geopolitico. Perché se si arriverà alla firma del Memordum of understanding da parte dell’Italia per la Nuova Via della Seta, vuol dire che sarà raggiunto l’obiettivo di «dare alle aziende italiane più protezione negli affari con Pechino», rigorosamente «secondo gli standard ambientali, di trasparenza e sostenibilità americani ed europei». Sottosegretario Geraci, un Paese come l’Italia in affanno economico non dovrebbe preoccuparsi se la Casa Bianca è arrivata a scomodarsi per richiamare i rischi dei rapporti con le aziende americane nonché l’operatività della Nato in caso di un accordo di adesione al documento Bri?
«Ci tengo a precisare il valore della Nuova Via della Seta. Innanzitutto non è un accordo ma un Memorandum of understanding, che in quanto tale non comporta alcun obbligo finanziario, politico o geopolitico. Ha soltanto un valore commerciale».
Con quali conseguenze per noi?
«Si tratta di definire una cornice di standard, per esempio di trasparenza, sostenibilità economica ed ambientale, che protegga le nostre aziende che fanno affari con controparti cinesi. Le imprese potranno godere di un maggiore supporto del governo nella strategia commerciale con Pechino. E anche una maggiore spinta alle esportazioni».
Eppure gli americani temono il controllo poco trasparente di asset sovrani come le infrastrutture. E una preoccupazione simile ha l’Europa.
Nel memorandum non c’è anche un’apertura alla realizzazione o qualificazione di porti insieme ai cinesi?
«Ripeto, il memorandum non costituisce alcun obbligo. Certo, i cinesi sono interessati ai nostri porti, prima ancora che si parlasse di questo MoU, così come sono interessati ad altri porti europei in cui hanno già investito: Malta, Marsiglia, Valencia, Bilbao, Anversa e Zeebrugge, per esempio. Se volessero investire nei nostri porti per ampliarne la capacità, il che porta ad un aumento del traffico, del Pil e dell’offerta di lavoro, mi sembra sia proprio ciò di cui il Paese ha bisogno. Ma valuteremo caso per caso. Ricordo anche che l’Italia è dotata del Golden Power che proteggerebbe comunque il Paese da investimenti predatori in settori strategici».
Inoltre Trump teme che l’adesione dell’Italia abbia un valore simbolico nell’aprire una breccia in Europa, visto che sarebbe il primo Paese tra i fondatori dell’Ue a firmare. Anche il primo Paese del G7.
«In realtà altri nove Paesi europei hanno già firmato, tra cui Portogallo, Grecia, Ungheria e Polonia. E comunque, non esiste un’Europa di serie A e una di serie B. Inoltre, va ricordato che tutti, i 28 Paesi Ue hanno sottoscritto il capitale della Banca d’Investimento Asiatica per le Infrastrutture, il ramo finanziario e quindi, vera benzina, alla Belt&Road Initiative».
Impossibile però ignorare tante pressioni dall’asse Usa-Ue.
«Siamo consapevoli delle perplessità e ne teniamo conto. Dunque abbiamo rassicurato entrambi: mi creda, le loro preoccupazioni saranno superate».
Vuol dire che contate di firmare un memorandum che non fa storcere in naso a nessuno?
«Attenzione, non è certo che firmeremo. Questo va chiarito. Stiamo lavorando in questa direzione. Da settimane gli accordi si rimbalzano da una parte all’altra e subiscono continue limature. Abbiamo continui contatti per chiarire tutte le possibili criticità. E naturalmente vogliamo essere sicuri che le preoccupazioni Usa e Ue non siano fondate. La cornice di accordo dovrà integrare standard adeguati agli Usa e all’Europa».
Ce la farete per la visita del presidente cinese Xi?
«Per quella data una decisione sarà presa».
Le pensa che sul punto il governo sia compatto?
«Certamente sì, e la dichiarazione del premier Conte ne è la prova. Ma guardi che un primo piccolo effetto positivo dell’apertura dell’Italia alla Cina si è già visto. I cinesi hanno rimesso i prodotti italiani nella lista delle preferenze dei consumatori. È un piccolo segnale, ma conta».