la Repubblica, 11 marzo 2019
Riccardo Muti: «Un danno all’Italia quel Caravaggio negato al museo»
Riccardo Muti, direttore d’orchestra, è nato a Napoli.
Il maestro interviene sul divieto del ministro Bonisoli a prestare “Le sette opere di misericordia” per la mostra di Capodimonte. “Perché non spostare il quadro di pochi chilometri quando la Pietà di Michelangelo andò a New York?"
NAPOLI Era il 1964, un’Italia fa. Nel porto di Napoli, sulla nave Cristoforo Colombo, fu imbarcata una cassa con la Pietà di Michelangelo. Otto giorni dopo, con il consenso del Papa, il capolavoro fu esposto al Metropolitan Museum, nel padiglione vaticano dell’Expo mondiale. «Ma se perfino la Pietà fu portata da Roma a New York, non capisco perché oggi non si può spostare un quadro di Caravaggio da un posto all’altro di Napoli, nel raggio di pochi chilometri…». Il maestro Riccardo Muti, in procinto di partire per Chicago dove dirige la Symphony Orchestra, ricorda un episodio di tanti anni fa per spegnere gli ardenti fuochi polemici di oggi. Soprattutto lancia un appello al ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli: «Sarebbe folle, incomprensibile, non riconfermare nell’incarico a Capodimonte una personalità di levatura internazionale come Sylvain Bellenger». Perché anche – soprattutto – di questo si tratta: il quadro di Caravaggio resta fermo nella Cappella del Pio Monte della Misericordia, nella piazzetta Riario Sforza al Duomo, nei Decumani, cuore pulsante di Napoli. E contemporaneamente, a Roma, parte un siluro contro Bellenger, il “nefasto” direttore straniero, uno di quelli della avversata riforma Franceschini. Se Muti rompe il tradizionale riserbo, forse sente che Napoli e l’Italia non stanno imboccando la giusta direzione, ne teme il rinchiudersi provinciale. Se lo dice lui, bisognerà riflettere. L’antefatto. La direzione generale del ministero dei Beni culturali ha vietato il trasferimento delle “Sette Opere di Misericordia” dal Pio Monte di Pietà al museo di Capodimonte, dove il quadro sarebbe stato esposto dal 12 aprile al 14 luglio nella mostra su Caravaggio voluta dal direttore Bellenger e da Cristina Terzaghi. Come ormai di prassi accade a Napoli, un gruppo di “fucilieri del no” – così, efficacemente, li definì su Repubblica il sacerdote del Rione Sanità, Antonio Loffredo – ha sollecitato il Mibact a bloccare lo spostamento della tela in un tratto stradale di tre chilometri dal Pio Monte a Capodimonte. In apparenza è un libero, legittimo, auspicabile confronto di idee sulla cultura. Si può discutere, ovviamente, sulla mobilità delle grandi opere d’arte, tra favorevoli e contrari. Nei fatti, però, la discussione è fittizia: si impone alla città una scelta già presa a monte da pochi attraverso una connessione diretta e privilegiata con il Mibac. Giuliano Volpe, già presidente del Consiglio superiore del Mibact, in una intervista a Repubblica ha parlato di «piccole oligarchie nefaste», «signorotti del no» e di un «killeraggio» contro Bellenger. Lei cosa pensa di questa vicenda, maestro Muti? «Non mi interessano le polemiche, né scendo nel merito delle decisioni politiche. Osservo, da uomo di cultura, che il quadro di un genio come Caravaggio, opera fondamentale in un corpus concettualmente unitario, avrebbe dato ulteriore vigore a una mostra di respiro internazionale, importantissima per Napoli e per l’Italia. Caravaggio è un pittore conosciuto oltre Atlantico anche da persone non ferrate culturalmente, come purtroppo ce ne sono tante nel nostro Paese». È preoccupato per la condizione dell’Italia? «Sì. L’Italia, vista dal di fuori, dall’estero, sta perdendo ogni giorno peso, prestigio, valore. Bisogna esserne consapevoli». E di Napoli che cosa pensa? «Manco da tanti anni. Di recente sono tornato con enorme piacere per dirigere un’opera al San Carlo. Ho fatto un giro per la città, cogliendo gli elementi positivi di vitalità e le condizioni di perdurante abbandono di alcuni siti. Napoli soffre da decenni l’atteggiamento di forze interne del “no”. Speravo che negli ultimi tempi ci fosse stato un rinnovamento, vorrei vedere risorgere la città. Ma se si continua a dire sempre e solo no si affossano le migliori energie culturali cittadine. Il “no” ha frenato per decenni lo sviluppo che Napoli può e deve avere. Esistono energie strepitose, che ancora devono germogliare. Soffocarle sarebbe un drammatico errore». Lei ha conosciuto a Chicago Bellenger, dove ha diretto il Dipartimento di pittura e scultura europee medioevali e moderne dell’Aic, l’Art Institute. Col tempo siete diventati amici. Oggi Bellenger dirige Capodimonte. «Premetto che quando ho visitato Capodimonte ho apprezzato gli straordinari miglioramenti del museo e del parco, che aveva bisogno di essere curato e valorizzato. L’intero sito gode di un rinnovato prestigio mondiale. A Capodimonte sono già esposti quadri fondamentali di Caravaggio, spostarne un altro di pochi chilometri all’interno della stessa città non sarebbe stata una tragedia. Soprattutto, non può essere questo il pretesto per bocciare l’operato di una persona straordinaria come Bellenger». In effetti c’è chi auspica che non gli venga rinnovato il mandato quando, in autunno, scadranno gli incarichi dei direttori dei musei e Bonisoli dovrà decidere. «Spero che il ministro, nella giusta indipendenza delle sue scelte, riconosca le qualità straordinarie di Bellenger. Non rinnovargli l’incarico sarebbe un passo indietro per Napoli e per il Paese. Ripeto, non entro nel merito delle ragioni o dei torti. Non mi appassionano le polemiche e non posso né voglio condizionare le decisioni politiche. Tuttavia ho conosciuto e apprezzato il lavoro di Bellenger a Chicago, non vedo perché l’Italia dovrebbe privarsi di una simile eccellenza, di un esperto di riconosciuto valore internazionale. Bisogna aprirsi, non chiudersi. Sarebbe folle non confermare il direttore di Capodimonte». Quali programmi ha, maestro Muti? «Sto per partire per Chicago. Poi andrò in Giappone, dove dirigerò per tre anni un corso per direttori d’orchestra nella Italian Opera Academy che ho fondato. Torno volentieri in Giappone, uno straordinario Paese che amo». Il maestro si congeda. E ricorda ancora il trasferimento della Pietà a New York. Anche allora ci furono accese polemiche. Ne parlarono i cinegiornali dell’epoca. Ma con minor fragore dei “no” contemporanei di un’altra Italia.