la Repubblica, 11 marzo 2019
Hollywood non vuole più i soldi sauditi
C’è chi dice no. Un no che in termini economici, vale 26 volte quello che il 18 marzo potrebbe arrivare da Milano. Protagonista del “gran rifiuto” all’Arabia Saudita e direttamente al suo principe ereditario Mohammed bin Salman ( detto MbS) è Endeavor, l’agenzia delle stelle di Hollywood, il gruppo che rappresenta le più grandi star del firmamento del cinema e della televisione americani, con interessi anche nel mondo dello sport, nella produzione di eventi e nelle scommesse.
Fonti vicine a Endeavor hanno fatto filtrare nei giorni scorsi al New York Times e al Washington Post la notizia che la società ha restituito a Riad 400 milioni di dollari dell’investimento che il fondo sovrano dell’Arabia Saudita (PIF) aveva fatto nel gruppo un anno fa, durante la trionfale tournéeamericana di MbS. Dietro alla scelta c’è il disagio e il danno di immagine creati a Endeavour dall’associazione del principe con l’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso nel consolato di Istanbul su ordine – come ha riferito nei giorni scorsi la commissione di esperti nominata dalle Nazioni Unite sul caso – del governo saudita.
Una scelta clamorosa, che taglia le gambe a uno dei principali accordi firmati dal principe ereditario negli Stati Uniti: il patto – che fu celebrato con una festa di sapore hollywoodiano in cui MbS venne acclamato come l’uomo che avrebbe potuto cambiare il volto del Medio Oriente – puntava a portare in Arabia Saudita le star e le produzioni dell’Endeavor per aiutare il regno a diversificare la sua economia e staccarla dalla dipendenza dal petrolio. Ma già a metà ottobre, due settimane dopo l’omicidio di Khashoggi, il co-amministratore di Endeavor e eminenza grigia di Hollywood, Ari Emanuel, aveva definito «molto, molto preoccupanti» le notizie che arrivavano da Istanbul e aveva iniziato a cercare il modo per fare un passo indietro dall’accordo già firmato.
La soluzione, secondo i due giornali americani, è maturata nei mesi passati, con l’aumento degli investimenti di due soggetti già presenti nel gruppo e la conseguente restituzione (con tanto di salatissima multa) dell’assegno arrivato da Riad. Nessun commento sulla vicenda è arrivato da Hollywood né tantomeno dall’Arabia Saudita.
Quella di Endeavor è una scelta controcorrente: nonostante un raffreddamento dei rapporti dopo la morte di Khashoggi nessun grande gruppo americano – da Uber al produttore di auto elettriche Tesla, ai giganti della Silicon Valley – ha restituito ai sauditi i fondi che hanno investito in queste società. «Sono i settori “soft” come quello dello spettacolo a rischiare maggiormente danni di immagine nel continuare a fare affari con l’Arabia Saudita post-Khashoggi», argomenta Kristin Diwan, analista del Gulf State Institute.
Una frase che si sposa benissimo con il dilemma che i membri del cda della Scala dovranno sciogliere il 18 marzo, quando saranno chiamati ad esaminare il patto stretto dal sovrintendente Alexander Pereira e dal principe Bader, ministro della Cultura saudita.
A contribuire alla loro decisione potrebbe essere mercoledì la prima udienza, a Riad, nel processo contro le attiviste per i diritti femminili arrestate nel maggio scorso e da allora mai comparse in pubblico. Nei mesi scorsi le famiglie e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani avevano denunciato le torture e le molestie sessuali subite dalle donne in carcere. Non fa ben sperare la notizia che a processare le attiviste sarà la corte che solitamente dibatte i casi di terrorismo.
Nei giorni scorsi anche il presidente francese Emmanuel Macron aveva sollevato il caso delle torture e delle molestie, facendo apertamente il nome di Loujain al Hathloun, una delle attiviste arrestate. Ma nonostante le belle parole la Francia non ha mai pensato a restituire a Riad i miliardi di fondi ottenuti per portare avanti lo sviluppo culturale e turistico della regione archeologica di Al Ula. Noblesse oblige.