La Stampa, 11 marzo 2019
Ada, la figlia scienziata di Byron
Byron chiamava sua moglie, una «bas-bleu» che aveva studiato i numeri, «la principessa dei parallelogrammi»; e la canzonò nel personaggio di Donna Inez, madre del protagonista del poema Don Juan - «La sua scienza favorita era la matematica...». Di averla sposata si era pentito quasi subito. L’aveva trattata in modo orribile, cercando di scuotere la sua imperturbabilità sia abbandonandosi a scenate atroci, sia scandalizzandola, prima con accenni velati, poi, esasperato, con dichiarazioni esplicite sulla propria relazione incestuosa con la sorellastra Augusta Leigh, di una cui figlia era addirittura il padre.
Il poeta in fuga
Quando finalmente la giovane e inizialmente ingenua Annabella Milbanke, calata dal Nord con poco uso di mondo, constatò l’insostenibilità della loro unione, aveva appena partorito una bambina. Spalleggiata dalla famiglia, minacciò scandali per ottenere la separazione, e voci sempre più diffuse trasformarono rapidamente Byron da autore amato e popolare come una rockstar in mostruoso perpetratore di crimini innominabili. Il poeta lasciò allora sdegnosamente l’Inghilterra per non ritornarvi mai più; la riabilitazione sarebbe venuta solo dopo la sua gloriosa morte a Missolungi. Dal canto suo Lady Byron, diventata ricchissima dopo la morte di un congiunto, si dedicò a nobili iniziative sociali, fondando scuole per i poveri, lottando per l’abolizione della schiavitù e tenendo in vita più iniziative benefiche, che amministrò con intelligenza e senso pratico.
La sua inclinazione alla matematica passò alla figlia Ada, che peraltro la coniugò con un estro e con una inventiva certo ereditati da quel genitore. Oggi di Ada e del suo talento si parla molto, ci sono stati film e libri. Tra questi ultimi, due da poco usciti sono particolarmente utili per ricostruire una storia affascinante. Uno, In Byron’s Wake di Miranda Seymour (Pegasus Books, pp. 548), esplora in profondità la vita sia di Annabella sia di Ada, scandagliando un oceano di documenti custoditi in varie raccolte. L’altro, Ada Lovelace, sottotitolo «The Making of a Computer Scientist» (The Bodleian Library, pp. 114), di tre autori - Ch. Hollings, U. Martin e A. Rice, tutti docenti di materie scientifiche - recupera da carte e da dettagliatissimi appunti le intuizioni di un personaggio straordinario.
Lady Lovelace
Da piccola Ada era stata molto vivace e intraprendente, curiosa di tutto e appassionata di invenzioni. A otto anni, per esempio, aveva deciso di riuscire a volare, e pertanto si era procurata libri sugli uccelli per studiare la formazione delle loro ali, per muovere le quali pensava a un meccanismo alimentato dal vapore - la grande scoperta dell’epoca. Non andò mai a scuola. Ottenne insegnanti qualificati a istruirla particolarmente nelle materie scientifiche, ma volle anche imparare tante altre cose, come le lingue, e suonare l’arpa.
Aveva un temperamento indipendente. A sedici anni si cacciò in un pasticcio sentimentale con un insegnante di musica che rischiò di rovinarle la reputazione, e fu una fortuna che solo due anni dopo la chiedesse in moglie un aristocratico, Lord William King poi conte di Lovelace. Mentre gli dava tre rampolli (il primo, erede al titolo, fu un altro ribelle che finì male), progredì negli studi matematici, entrando in contatto con alcune delle maggiori menti dell’epoca; e fece amicizia con Charles Babbage, scienziato e inventore, costruttore di automi e ideatore di una macchina per eseguire complesse operazioni di calcolo.
Il governo aveva finanziato questo progetto per dieci anni, ma alla lunga aveva chiuso i rubinetti e l’idea languiva. Ada la studiò, tentò di promuoverla. Nel 1840 Babbage la illustrò a un convegno scientifico a Torino, facendo colpo sul giovane brillante scienziato e futuro diplomatico Luigi Federico Menabrea, che le dedicò una relazione scritta in francese. Ada la tradusse in inglese, corredandola di note esplicative molto elaborate, quaranta pagine contro le venti del testo originale. Circa un secolo dopo, questo scritto sarebbe stato salutato nientemeno che da Alan Turing come il primo vero seme del concetto moderno di computer. Infatti con un’ampiezza di visione in enorme anticipo sul suo tempo e sulle idee dello stesso Babbage, che credeva di avere inventato «solo» una calcolatrice molto potente, Ada spiegò come il principio di quella macchina avrebbe potuto applicarsi non solo ai numeri, ma praticamente a ogni cosa: e lo dimostrò, specie nella famosa «Nota G», con equazioni che prefigurano i programmi dei moderni computer.
Un padre mai conosciuto
Allora la sua intuizione non portò a nulla di concreto. L’«Analytical Engine» di Babbage, grande come un Tir, alimentata a vapore e con schede perforate e stampante, sarebbe stata realizzata sperimentalmente solo nel 2005: funziona. Intanto Ada, stanca di battersi in quel campo e bisognosa di denaro per soddisfare le esigenze di un amante scroccone (il marito la teneva a stecchetto), pensò di applicare le sue competenze al gioco d’azzardo, e coinvolse un gruppo di scommettitori tra cui lo stesso Babbage; ma scelse il campo dell’ippica di cui non sapeva nulla, e i risultati furono disastrosi. Due volte sua madre dovette intervenire per recuperare i gioielli che Ada aveva improvvidamente dato all’amante perché li impegnasse. Ma la parola amante non deve far pensare a niente di carnale. Lo sfruttatore era un matematico col quale Ada poteva discutere delle sue passioni. E lei stessa era ormai divorata da quel cancro all’utero che se la portò via a soli 36 anni, la stessa età di quel padre che non aveva mai conosciuto e accanto al quale volle essere seppellita.