il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2019
La storia della sforbiciata sull’album Panini
C’è rovesciata e rovesciata. Quella pur sublime di Cristiano Ronaldo (Cr7), in teoria, non è nemmeno avvicinabile a quella di Cp5. Nell’epoca dei diritti di immagine, pagati a peso d’oro, chissà quanti milioni vale e quanti ne avrà fruttati, l’immagine per antonomasia del calcio italiano: la sforbiciata di Carlo Parola, stopper juventino degli anni ’50, disegnata da decenni su album e bustine della Panini. Dite una cifra a caso e sarà sicuramente eccessiva.
Questa è una storia a costo zero. Quella celebre “rovesciata”, lo fu anche nel suo senso ultimo. Per capirci: se oggi la Panini volesse sostituirla con un’altra super rovesciata, tipo quella di Cristiano Ronaldo allo Stadium con la maglia del Real Madrid, difficilmente potrebbe farlo gratis.
Con la “rovesciata” simbolo della Panini, invece – pur essendo un “marchio” riconoscibile, subito dopo la Coca Cola – nessuno ci ha guadagnato un centesimo: non il calciatore che la fece (Carlo Parola morì povero e solo, l’unico che fece visita al defunto, mettendogli una cravatta bianconera, fu l’ex compagno di squadra Giampiero Boniperti), non il fotografo che scattò la foto (Corrado Banchi), né il disegnatore che stilizzò l’immagine definitiva (Wainer Vaccari). Altre curiosità e differenze. Al contrario di quella di Cr7, quella di Cp5 non era una conclusione in porta, ma un modo spiccio per spazzare l’area. E non in un quarto di finale di Champions League, ma in una noiosa e fredda domenica di campionato.
Quindici gennaio 1950, Fiorentina-Juventus, i bianconeri primi in classifica e i viola quarti, ad 11 punti di distanza (la vittoria ne valeva due). Unica emozione a cinque minuti dal termine, quando l’arbitro, il signor Bernardi da Bologna, concede un rigore ai padroni di casa. Sul dischetto va il terzino Cervato che spedisce fuori: finirà 0-0.
Ma intorno all’80° c’è una mischia nell’area juventina e Parola d’istinto si coordina in quel modo perfetto e rinvia lontano. Del gesto tecnico non c’è traccia nelle cronache dei giornali. Ora spostiamoci qualche metro più in là, appena dietro la porta, dove sono appollaiati cinque o sei fotografi infreddoliti e vicini. Uno azzecca lo scatto che diventerà storia (ma non lo sa ancora, deve ancora sviluppare il rullino, e comunque non lo saprà per anni), gli altri no. È il destino, si dice. Si chiama Corrado Banchi, fotoreporter, collaboratore dell’agenzia Foto Florenza, in via del Proconsole, dietro piazza del Duomo a Firenze.
Matteo Cecchi è il nipote di uno dei due soci dell’agenzia: “A quei tempi non c’erano trasmissioni televisive né i giornali abbondavano di foto. Così, i tifosi della Fiorentina, erano soliti fermarsi davanti alla vetrina dell’agenzia o al Chiosco degli sportivi dove, fin dal lunedì, si potevano ammirare gli scatti del racconto della partita”.
A dire il vero, alcune immagini di quella gara vennero pubblicate, la settimana seguente, da Sport illustrato, la Bibbia dei calciofili negli anni ’50. Che mise sì Parola, ma impegnato in un colpo di testa. La foto, insomma, non ebbe da subito le stimmate del successo.
Per trovarle, bisogna allungarsi ancora qualche chilometro più a nord, a Modena. I fratelli Panini, che acquistavano le foto a stock, questa la tengono nel cassetto per anni, anonima, insieme ad altre migliaia. Un giorno, scorrendole con lo sguardo, Franco Panini rimane colpito da quella sforbiciata. Percorre 50 metri, bussa all’ufficio grafico, due persone più un operaio Wainer Vaccari – oggi pittore, scultore e illustratore – ma all’epoca diciassettenne, impiegato al reparto sacchettificio: “L’azienda era pionieristica. Avevo la passione per il disegno e capitava che, a fine turno, salissi allo studio grafico e passavo ore con loro, senza essere retribuito. Apprendistato”.
Gli album Panini uscivano dal 1961, con in copertina stilizzato prima un colpo di testa del milanista Niels Liedholm, poi una specie di rovesciata del fiorentino Ardico Magnini.
Dal 1966 ad infinitum, invece, c’è la rovesciata di Parola. Vaccari: “Ancora rivedo Franco Panini con in mano la foto famosa. Chiede chi vuol provare a fare un restyling corposo, ci guardammo troppo a lungo e allora decide lui: la fai tu, Wainer. Fin lì, l’immagine aveva un tratto simile a quello di un fumetto, con luci ed ombre, le diedi un aspetto pittorico”.
Il problema maggiore: far sì che ogni squadra, si potesse riconoscere nel disegno: “Alla fine scelsi maglia amaranto, calzoncini bianchi, calzettoni neri con striscia gialla”.
Risultato: immagine stampata in qualche centinaio di milioni di copie, passata dalle mani e dagli occhi di generazioni di italiani. Guadagno? “Al massimo pensavo potesse avere una diffusione locale, diciamo Modena e dintorni, invece andò diversamente. Guadagno: zero lire. Ero un dipendente, legato all’azienda e già orgoglioso di essere stato messo alla prova dal mio titolare. Non mi spettava né mi spetta nulla, apprendi… stato”.