il Giornale, 11 marzo 2019
Intervista a Slash
Dopotutto è una delle ultime leggende rock in circolazione. Nella storia di Slash c’è l’abc di uno stile di vita: il virtuosismo (alla chitarra), l’esagerazione (del passato), la forza iconografica (Andy Warhol non ha fatto a tempo a sublimarne i riccioli e la celebre tuba). Di sicuro, la sua chitarra passa attraverso il blues e Jimmy Page dei Led Zeppelin, è cresciuta con Michael Schenker o Joe Perry degli Aerosmith e ha un suono subito riconoscibile, una pennata piena di sensualità decadente. Per Rolling Stone è tra i cento migliori di sempre. Per i fan è un’icona. Soprattutto, Saul Hudson detto Slash è la parte terrestre dei Guns N’Roses, visto che il cantante Axl Rose vive simbolicamente su di un altro pianeta, nonostante il tour finito a novembre a Johannesburg sia stato uno dei più ricchi di questo pianeta. «Ma io non mi sono mica fermato lì» sorride Slash dopo il concerto al Fabrique di Milano con Myles Kennedy e i Conspirators che annuncia altre due date italiane in supporto al disco Living the Dream: il 30 giugno al Parco della Pace di Savigliano e il 6 luglio all’atteso Rock The Castle di Villafranca di Verona. «Poi tra un concerto e l’altro scrivo altra musica» dice conuna voce da attore.
Però, Slash, come ci si sente a essere l’ultimo dei mohicani?
«Non mi piace generalizzare ma, in effetti, se ci si guarda intorno, la musica è sempre più elettronica. Nel pop soprattutto. Il vero guaio è che molti ragazzi non hanno proprio voglia di capire cosa voglia dire mettere due mani sulla tastiera di una chitarra».
Il primo disco dei Guns N’Roses, Appetite for destruction, è il debutto più venduto di sempre. Da allora come è cambiato il suo modo di suonare?
«Il modo è sempre lo stesso ma cambi tu e cambia ciò che ti gira intorno. All’inizio lo scopo è di suonare difficile, di essere veloci. Ma ci vuole molto tempo prima che accada. Quando accade, hai imparato a togliere tutti i filtri tra la testa e le dita della mano e quindi sei meno spavaldo e più essenziale».
Però dicono che la chitarra sia uno strumento in via di estinzione, almeno nel pop.
«Da quando mi sono fatto conoscere con i Guns N’Roses, c’è stato un periodo tra gli anni ’80 e i ’90 nel quale era centrale. Poi la sua influenza si è limitata. Ma la storia della chitarra è fatta di alti e bassi, quindi ritornerà».
Da Michael Jackson a Vasco Rossi, lei ha suonato per tanti progetti diversi. Uno è proprio sorprendente: i brani del film Nothing left to fear del 2013.
«Ebbene sì, i film dell’orrore sono la mia passione da sempre. Quello l’ho anche prodotto. È stato un amico a orientarmi in questo mondo.
Slash produttore di horror movies.
«Un altro si intitola The hell within’ (lo presenta anche su YouTube -ndr) e mi sto già occupando del prossimo, che probabilmente uscirà nel 2021».
I suoi registi preferiti.
«Senza dubbio uno è italiano».
Facile da indovinare: Dario Argento.
«Un maestro. Chissà che cosa pensa del remake del suo capolavoro Suspiria fatto da Luca Guadagnino».
Ha detto più volte, con molta diplomazia, che non lo ha entusiasmato.
«Lo capisco. Anche per me è stato come vedere un altro film. Ma è sempre difficile riprendere una storia».
A proposito, quando riprenderà la storia con i Guns N’Roses: disco nuovo o altro tour?
«Non c’è molto da dire quando non si sa nulla. Il mondo dei Guns N’Roses si svela sempre all’improvviso. Ed è imprevedibile.