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 2019  marzo 11 Lunedì calendario

Venduto il Chrysler Building

È il più bel grattacielo di Manhattan, ma è costato grosso modo quanto una penthouse in una delle nuove lussuosissime torri abitative di New York. Sic transit gloria mundi, verrebbe da dire, riflettendo sulla svendita appena consumata del Chrysler. Appena 150 milioni di dollari, pagati da RFR Holding all’Abu Dhabi Investment Council, che non rappresentano solo una clamorosa perdita rispetto agli 800 milioni sborsati dagli arabi nel 2008, ma soprattutto indicano un segno dei tempi.
Gli scavi per le fondamenta di questa icona dell’Art Déco, che Le Corbusier avrebbe definito «jazz travolgente in pietra e acciaio», erano cominciati nel 1928. L’America stava per precipitare nella Grande Depressione, ma evidentemente nessuno se n’era accorto, se i grandi magnati di New York avevano deciso di impegnarsi in una gara a chi avrebbe costruito l’edificio più grande del mondo. Quello che poi sarebbe diventato il Chrysler era stato avviato dall’ex senatore William Reynolds, che però si era presto accorto di non avere i fondi per reggere la competizione. Quindi aveva venduto tutto al fondatore della casa automobilistica, Walter Chrysler, che invece di usare i capitali della corporation ci aveva messo dentro i suoi soldi, per poter poi lasciare l’opera in eredità ai suoi figli.
L’architetto William Van Alen era stato incaricato di disegnare il progetto, cambiato in corso d’opera per dargli quel senso di modernità, appropriato all’edificio che avrebbe comunque dovuto ospitare fino al 1953 la sede di una delle tre grandi case automobilistiche americane, all’avanguardia nell’innovazione su scala globale. L’ambizione di Chrysler era quella di costruire il grattacielo più alto del mondo, superando il Woolworth Building. Per riuscirci si era dovuto impegnare in una gara con il banchiere George Ohrstrom, che aveva lo stesso obiettivo per il suo 40 Wall Street. Ohrstrom pensava di aver vinto, quando aveva annunciato l’altezza definitiva del suo edificio, ma Chrysler in realtà lo aveva fregato, perché aveva nascosto all’interno del suo grattacielo la punta che avrebbe dovuto completarlo. Così quando 40 Wall Street era stato completato, Walter aveva fatto alzare la spire che gli aveva consentito di vincere la sfida. Quando era stato terminato, il 27 maggio del 1930, il Chrysler era in effetti l’edificio più alto del mondo, con i suoi 318,9 metri. Il primato però era durato pochi mesi, perché era stato superato dall’Empire, e nel frattempo anche l’ottimismo che aveva generato questa corsa verso il cielo si era trasformato nell’angoscia della Depressione.
Il Chrysler oggi non è più il grattacielo più alto del mondo, ma per molti resta il più bello, e certamente il più iconico. Come dimostra, ad esempio, la presenza del suo profilo in decine di film, tipo «Spider Man», «Independence Day» o «Men in Black». La bellezza però non è tutto nella vita, e la sua esistenza finanziaria è stata piuttosto tormentata. Un problema di fondo sta nel fatto che la terra su cui poggia l’edificio non appartiene ai suoi proprietari, ma alla Cooper Union. Il titolo era stato trasferito a questa storica istituzione accademica di New York allo scopo di essere esentati dalle tasse, ma ciò ha creato anche l’obbligo di pagarle l’affitto, come accade con tutti i palazzi costruiti a Manhattan con la strana formula del «landlease». L’anno scorso il «rent» era di 7,75 milioni, ma salirà a 32,5 nel 2019, e arriverà a 41 milioni nel 2028. Questa spesa enorme che i proprietari devono sostenere per poter posare i piedi a terra ha contribuito al crollo del valore del edifico, insieme al fatto che ormai le sue strutture interne sono troppo invecchiate, per reggere la concorrenza della funzionalità con i nuovi palazzi. La scommessa di RFR Holding però è che la bellezza vince sempre, e dopo un passaggio dal chirurgo plastico sotto forma di ristrutturazione, le aquile del Chrysler torneranno a volare più alte di tutti gli altri concorrenti, che sono solo dei comuni grattacieli mortali.