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 2019  marzo 10 Domenica calendario

La statua di Montanelli imbrattata dalle femministe

Non pago di aver bloccato il Paese organizzando lo «sciopero globale transfemminista», il collettivo “Non una di meno” ha voluto esercitarsi in un atto che reggesse il confronto con l’idiozia del titolo. Non era facile, ma il risultato è stato indubbiamente raggiunto. A Milano le femministe in lotta contro non si sa cosa hanno imbrattato con secchiate di vernice rosa la statua di Indro Montanelli, collocata nei giardini di Porta Venezia. Non un’intemperanza estemporanea di qualche estremista tra gli estremisti, ma un atto politico-culturale rivendicato tramite comunicato e post su Facebook. Per le signore (pardon, signorine, non vorremmo incentivare inconsapevolmente dei riflessi patriarcali) in rivolta il padre del giornalismo italico sostanzialmente si colloca a metà tra Barbablù e un gerarca nazista. Si tratta infatti di «una doverosa azione di riscatto», e a supporto viene citata un’intervista di Montanelli a Enzo Biagi del 1982, in cui raccontava tranquillamente l’episodio di Destà. Costei era la giovanissima etiope (le versioni variano da 14 a 12 anni) che il giornalista sposò ultraventenne, a metà degli anni Trenta, durante la guerra coloniale.

USANZA DEL TEMPO
Scena respingente e certamente non proponibile con i canoni della contemporaneità, ma che la stessa Fondazione Montanelli-Bassi non nasconde: «Montanelli sposò sì la giovane Destà com’era usanza della popolazione locale, ma, per quanto oggi possa apparirci riprovevole, quel tipo di matrimonio era addirittura un contratto pubblico, sollecitato dal responsabile del battaglione eritreo guidato da Indro. Si tratta di un episodio della sua vita, non imposto né attuato con violenza». Una prassi nel momento storico e nel contesto geografico, come rendicontano molte cronache di guerra dell’epoca. Tanto che nel 1952 Montanelli tornò ad incontrare Destà e il suo marito indigeno, che lo «accolsero come un padre» e a cui si dice destinò anche un consistente aiuto economico. Tanto basta per farne un padrino ante litteram dei femminicidi, odiosa espressione di tendenza per indicare quegli omicidi dove la vittima è di sesso femminile.

FURIA ICONOCLASTA
Era insomma urgente ricordare al mondo «l’orrore di cui Montanelli si rese protagonista». È l’ultima forma del politicamente corretto, la furia iconoclasta contro coloro che hanno la colpa retroattiva di non corrispondere ai canoni buonisti attuali, imposti con una cattiveria in odore, quella sì, di manganello fascista. Una moda nata negli Stati Uniti, con i surreali assalti all’arma bianca alle statue di Cristoforo Colombo, primo invasore colonialista. E ormai deflagrata in ogni manifestazione della (in)cultura contemporanea, dai Simpson che censurano Michael Jackson, una delle più grandi popstar del Novecento, dopo il documentario che lo accusa di pedofilia, alla Hollywood che bandisce uno dei più grandi attori viventi, Kevin Spacey, in quanto imputato per molestie, giù giù fino al nostro Fulvio Collovati, linciato dalla pubblica opinione perché ha confessato movimenti peristaltici quando sente le donne parlare di calcio. A breve si bruceranno i quadri di quel porco di Gauguin, avvezzo a intrattenersi con tahitiane minorenni. Si getterà al macero, per motivi intuibili, l’intera opera del marchese De Sade. Su su fino a quegli sporcaccioni di Aristotele e Platone, visto le note usanze sessuali dei filosofi greci a proposito di giovinetti. E non potremo nemmeno scappare da quest’incubo, visto che i trasporti saranno bloccati a causa dello sciopero a oltranza. Ovviamente, globale e transfemminista.